LIRICA.
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lodi, non mancarono di lusingarlo in questo concetto: egli stesso mostrò di conoscere, ne' suoi dialoghi concernenti la poesia, ciò che sarebbe tornato indispensabile a riuscir nell'intento: ma la posterità, senza punto negargli il posto onorato che gli si compete nel Parnaso italiano, persiste a contestargli 1' alloro, al quale aveva unicamente agognato.
Dove, il Chiabrera ha qualche cosa di singolare, è nella forma. Confessò egli stesso d'aver posto uno studio tutto suo nella ricerca de' metri, e nel u far domestiche alcune bellezze de' Greci, poco usate in volgare italiano ». Introdusse cioè traslati, figure, parole composte, costruzioni insolite, o rare. Vincenzo Monti 11011 dubitava di assegnargli il primo seggio tra' lirici italiani. Il Chiabrera fu anzi de' pochi ch'egli studiò quanto l'Ariosto e l'Alighieri. Dalle liriehe di lui trasse un largo repertorio di locuzioni poetiche, ugualmente chc dall Orlando Furioso c dalla Divina Commedia. Gli esempi del far del Chiabrera non sono infrequenti nella Ikissvilliana e nella versione dell' Iliade. Ma quelle forme così ammirate dal Monti, non vanno immuni talvolta da difetti. De' metri ve n'hanno degli assai felici per varietà di verso e accordo di rime; ma non ne mancano anche di quelli ove la combinazione men naturale de' suoni degenera in aperte stonature. Ne l'arte ha fatto buon viso a certe contorsioni ne' costrutti, comuni specialmente a' latini. Il Giusti ha riprovato a ragione le non molte dalle quali si lasciò sedurre il Parini. S'aggiunga che il Chiabrera non s'attenne costantemente, per ciò che si riferisce alla lingua, agli esempi de'classici. Indulgente al genio infelice del secolo, rilassò talvolta il freno alla licenza, ora creando voci che si possono dir barbarismi, ed ora accozzando metafore e foggiando frasi ed epiteti, degni veramente dell'Achillini e del Preti.
Più ehe nella imitazione di Pindaro, il Chiabrera riuscì felice in quella d'Anaerconte. Il suo stile, povero di robustezza e di forza nelle liriche di genere eroico, assume un colorito e una vita meno affaticata e men dura ne' componimenti d'argomento grazioso. Le stesse forme esteriori smettono nelle canzonette di lui un certo non so che di convenzionale e di meccanico per accomodarsi meglio ali 'spirazione dell'animo. I metri, le. parole composte, i diminutivi i vezzeggiativi, tutto riceve una vivacità c freschezza, che tu cercheresti indarno nelle odi, foggiate sulle istiniche, sulle pitie, sulle nemee e sulle olimpiche. Nelle canzonette sulla caducità della bellezza, sugli occhi, sulle guancie, sulla mano, e sul viso della sua donna,il Chiabrera riesce così dolce e patetico, che, anche non pareggiando il modello greco, si fa leggere tuttora con vero piacere.
Della scuola, se così si può dire, del Chiabrera, fu Giovanni Ciampoli, prelato della Curia romana, morto il 1643. L'aver sortito i natali in Toscana, dove l'arte si mantenne più fedele che altrove alle antiche tradizioni, non lo preservò dalla comune corruzione. Il modello eh' egli pure si propose a imitare, fu Pindaro- Così fortunato da pescar perle, coni' egli diceva,
D'industre calamaro in seno oscuro,
gonfiò, non sai più, se sè stesso, o lo stile. E fama che, recitato un componimento, se ne compiacesse così da far trasparire un non so che di voluttuosa superbia dagli occhi, dal viso, da tutto, insomma, il portamento. L'orgoglio lo fece anzi invanire siffattamente da non ricambiare perfino il saluto a chi per istrada gli avesse fatto di cappello, o gli fosse sembrato inferiore. Imitatore di Pindaro senza averne compreso nè il fare, nè lo spirito, lasciò poesie concepite e condotte con un' enfasi chc rivela anche a' meno esperti il carattere individuale dell'autore. I suoi componimenti, ne' quali parve atteggiarsi a caposcuola, non esercitarono alcun potere su'contemporanei, come non l'esercitano su'posteri, i quali è molto se ne conoscono il nome. Al Ciampoli toccò la sorte della rana di Esopo: a forza di gonfiare, terminò con lo scoppiare prima del tempo.