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Storia della Letteratura Italiana
Il Seicento
Bernardo Morsolin
Francesco Vallecchi Milano, 1880, pagine 170

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a cura di Federico Adamoli

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   LIRICA. 4'J
   Vedrai tempeste pireziose e care Formar d un aureo crine un nembo folto, Certo naufragio all'altrui voglie avare.
   Anzi vedrai quel jìume a fren disciolto Correr talor precipitoso al mare, xil mar d'ogni beltà, eli'è il suo bel volto.
   Chi si avvicina di molto all'Achillini è Girolamo Preti, pur di Bologna , che il Tassoni salutò, come s'è detto, per il
   Poeta degno d'immortali onori Nel tempo che puzzar soleano i fiori.
   Colto dalla morte nel 1626 , in età ancor vegeta, e dopo d'aver vissuto alcun tempo in Ferrara presso Alfonso II d'Este, e in Genova in casa i Doria, non lasciò, a dir vero, molti componimenti. Amico e imitatore del Marini, contribuì a propagare il mal gusto, modello egli pure eoi maestro c col coneittadino a que' molti accademici che facevano gemere i torchi ad ogni più futile occasione, e de' quali nessuno ricorda più i nomi.
   Ma nella lirica, come nell'epica, non mancarono spiriti eletti che tenessero alto il vessillo delle gloriose tradizioni italiane. Fu de' più insigni Gabriello Chia-brera, nato e morto in Savona nel 1637, in età d'oltre ottantacinque anni. Dalla viva parola di Paolo Manuzio, di Sperone Speroni e di Marcantonio Murcto attinse, giovanetto, quell'amore agli studi, che gli doveano costituire il viatico di tutta la vita. Desideroso di dar nuove forme alla poesia italiana, s'usurpò da Cristoforo Colombo, che gli fu concittadino, il motto famoso: u trovar nuovo mondo, o affogare ». Epico, lasciò cinque poemi, il Foresto, la Firenze, la Gotiade, il Ruggero e l'Amedeide, o la conquista di Rodi per opera di Amedeo di Savoia. I metri, usati da lui, sono ora l'ottava rima, ora lo seiolto ed ora il verso rimato a capriccio. Con tutti i buoni intendimenti di conciliare le più disparate opinioni intorno alla favola e al metro da usarsi ne' poemi narrativi, non riuscì a lasciare di se alcuna traccia. Drammatico, scrisse sediei azioni, tra le quali due tragedie chc più non si leggono. Meno sfortunato ne'componimenti di breve lena, va tuttora lodato per una quarantina di poemetti di vario argomento, e più ancora per quasi altrettanti sermoni, belli per la semplicità del dettato c per una certa festività oraziana.
   Ma il Chiabrcra fu celebrato particolarmente per altri titoli. Del motto, usurpato al suo concittadino, parve giovarsi sopra tutto per ciò che si riferisce alla lirica. Giovane, s'era dato, come lasciò scritto egli stesso, u a leggere libri di poesia per sollazzo, e a voler intendere eiò ch'ella si fosse e a studiarvi attorno con attenzione ». In sì fatto esercizio non gli fu difficile « conoscere che i poeti volgari erano poco arditi e troppo paventosi d'errare »; si persuase cioè, ehe le penne alla lirica italiana erano state tarpate dall'imitazione del Petrarca. Esperto nel ravvisare i mali, non fu fortunato altrettanto ncll' applicarne eonvenientcmentc i rimedi. Fisso nell'idea d'innovare la lirica, non fece da se, ma si rivolse agli antichi, osservando però sempre i canoni chc aveano regolate sino allora le arti della immaginazione. Sicché la sua non fu una invenzione, ina una sostituzione: abbandonò cioè l'imitazione del Petrarca per foggiar la nuova lirica su' modelli d'Anacrconte, e in modo particolare di Pindaro. Nè quello del Chiabrera era per ciò un tentativo affatto nuovo. Al cinquecento chc s'era provato di riprodurre, pia o meno felicemente, tutte le forme poetiche e talvolta aneo i metri degli antichi, non era passato inavvertito del tutto il cantore de'giuochi olimpici. I numeri tebani che il pontefice Urbano VIII disse accordati per la prima volta
   morsolin.