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CAPITOLO SECONDO.
fa tanto più degna di biasimo, quanto son meno frequenti gli esempi di oscenità negli scritti de' contemporanei, c segnatamente ne' poemi del Tassoni, del Bracciolini c del Lippi.
La dizione del u Ricciardetto » non ha nulla di studiato, di peregrino, d'affettato. Pistoiese, il Fortigucrri si giovò de' modi succhiati col latte della madre. La lingua ò perciò sempre pura, sempre naturale, quale si sente parlare ancora su' monti del Pistoiese, L'ottava facile, scorrevole, spontanea, ritrae ad un tempo del fare spezzato del Pulci, e del finito dell'Ariosto e del Perai. L'origine e la lettura del Ricciardetto indurrebbe a pensare che la dettatura non dovesse costare al poeta alcuna fatica. Eppure si sa,
Che sebben facìl sembra il suo lavoro,
Pur d'ingegno vi spese ampio tesoro.
Inteso a scrivere come parlava, il poeta non si guarda neppure dalla volgarità degli scherzi. Libero, umoristico, satirico, discende spesso a trivialità che non sono certo di buona lega, u Ma i difetti di stile e di urbanità sono redenti, dice .1 Foscolo, dalla sua fantasia »,
Nò il Ceva, nò il Fortiguerri rappresentano nell'epica il fare e la scuola dell'Arcadia; l'uno la precedette, l'altro la mise in canzone. La natura degli Arcadi, schivi della fatica, non reggeva agli argomenti di lunga lena: il desiderio de' plausi frequenti nelle tornate mensili facea lor prediligere i componimenti di breve durata. Ove si fosse richiesto lungo studio e molta fatica, si ricorreva invece alla ripartizion del lavoro. Non altrimenti furono condotte le avventure di Bertoldo, di Bertoldino e di Cacasenno. Nulla v'ha d'invenzione in questo libro. Le avventure di Bertoldo e di Bertoldino risalgono in origine all'ultimo scorcio del cinquecento. Ne fu inventore, o a dir meglio espositore, Giulio Cesare Croce dalla Lira, un fabbro ferraio di Bologna, che le attinse, come dico il Guerin,, da antiche leggende ebraiche, assai popolari nel medio evo tra i Tedeschi, II racconto che al tempo degli Arcadi correva per le mani del popolo da oltre un secolo e mezzo, è scritto goffamente e nel dialetto bolognese. Bertoldo è un villano assai scaltro nelle azioni, arguto nelle sentenze e ne' motti. Caro al re Alboino, ha il passo libero nella corte, e vi parla con una piacevolezza, ehe diletta c ammaestra ad un tempo. Carattere opposto interamente a Bertoldo è il figlio Bertoldino, un semplicione, ehe strappa il riso con le sue sciocchezze. Al Bertoldo e al Bertoldino del Croce fu aggiunto nel seicento il Cacasenno, un personaggio ancor più scimunito. Il nuovo racconto, insipido affatto, è lavoro di Camillo Scaligero della Fratta nel Polesine. La triplice narrazione piacque al pittore Crespi, detto lo Spagnolo, chc la volle illustrare eon venti bei quadri a olio, riprodotti poi in altrettante incisioni all'acqua forte. L'editore Lelio della Volpe commise il ritocco de' rami, già logori, a Lodovico Mattioli, un valente incisore, che ne abbellì alla sua volta il concetto eon l'aggiunta di figure e di paesaggi. L'accoglienza al nuovo lavoro mise nell'editore stesso l'idea di far scrivere in versi le avventure de' tre villani. Indirizzatosi a' poeti di maggior grido, ottenne ehe si ripartisse la materia in venti canti. I più noti fra coloro che dettarono un canto per ciascuno, sono il Baruffaldi, il Zampieri, lo Scarsella il Zanott' il Frugoni. S'aggiunsero a costoro il Marescotti, il Paoli, il Barotti e l'Orsi, clic fecero alla lor volta gli argomenti, le allegorie, le note e la lettura proemiale. Il Bertoldo, il Bertoldino e il Cacasenno uscirono, eosì raffazzonati, nel 1736 in Bologna. L'edizione, bella per le incisioni e per i tipi, fu riprodotta successivamente più volte c tradotta anche in francese.
Ma il libro c, come bene avverte il Settembrini, u una veste d'Arlecchino, fatta a scacchi ». Ciascun canto ha una impronta sua propria, derivante dalla