EPOPEA.
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li/ione esteriore, per non dire officiale. E di ciò nessuna prova è più evidente, clic il Puer Jesus. Ignoro in clic modo si possa conciliare la devozione con la parte comica del poema, ne per quali argomenti risulti manifesta la divinità del Cristo: ben si capisce come dal Ceva c dall'età che fu sua, si scambiasse la sostanza della religione con una serie di pratiche esteriori, lontane sopra tutto dal parlare per mezzo de' sensi allo spirito. L'ispirazione poctiea non v'è pertanto maggiore ehe nel Parto della Vergine c nella Cristiade. Non che al Ceva mancasse il maneggio della lingua latina: valente nell'uso delle grazie virgiliane, quanto pochi altri, nelle Dissertazioni filosofiche c nelle Selve, ove la materia poteva attagliarsi meglio alla forma pagana, non sa evitare nel Puer Jesus i difetti de' cinquecentisti. Ma se rimane spesso inferiore al Sannazaro ed al Vida nella bellezza dell'esametro, mi pare che li superi entrambi nel rendere senza sforzo di emistichi c con forma più cristiana il concetto.
Chi dopo tanti esperimenti d'epopee eroicomiche da ingenerare, se così m'è lecito dire, la nausea, seppe uscire dalla schiera volgare, fu Niccolò Fortiguerri, nato in Pistoia nel 1G74. Vissuto quasi di continuo in Roma, nella prelatura', non rivide, la patria che verso il fine della vita, chiusavi nell'età ancor fresca d'anni scssantuno. Letterato, grecizzò il suo cognome in quello di Niecolò Carterouiaco. Una traduzione elegante e briosa delle Commedie di Terenzio lo levò, giovane ancora, in bella nominanza. Quello per altro che ne mantiene ancor viva la fama, è il a Ricciardetto ». Il Fortiguerri non appartiene propriamente a quella schiera di epici giocosi che si ressero sulle orme del Tassoni. La sua vita letteraria si svolgeva quando, a frenare e a correggere il malgusto del seicento, sorgeva in Roma e si propagava per tutta Italia l'Arcadia. Arcade egli stesso, prendeva parte sotto il pseudonimo di Nidalmo Tiseo alle tornate, che si tenevano nel bosco Parnasio, e vi leggeva sonetti, madrigali e canzonette, dettate, secondo l'uso de' tempi, su argomenti frivoli, comuni e triviali. Eppure il Ricciardetto non ha nulla di comune col fare degli Arcadi. Mentre questi si tengono stretti a certi canoni, da' quali sperano il ristoramento della letteratura fuorviata e corrotta, il Fortiguerri si ride senza riguardo d'ogni regola. Verosimile e inverosimile, possibile e impossibile è tutt'uno per lui. La sua Musa non è sorella delle altre, non ha eetra d'ebano, o d'oro, ma
È rozza villanella e si trastulla
Cantare a aria, conforme le frulla.
Il tema ch'egli imprende a trattare non è nuovo, almeno nell'apparenza: finge di desumerlo da' soggetti cavallereschi che aveano già fatte le spese al Pulci, al Boiardo, all'Ariosto e a tant'altri. Nella sostanza è una creazione , risultante da un accozzamento d'immagini, quanto strane, altrettanto varie, alcune delineate appena, altre più che sbozzate, la massima parte disegnate e colorite con valentia magistrale.
Lo Sericea re de'Cafri ha due figliuoli, un maschio ed una femmina, di nome Despina. La morte del primo, ucciso da Ricciardetto, accende d'ira e di dolore sì fieri Despina, che ne vuole ad ogni costo la vendetta. Il padre, impotente a resistere alle istanze della figlia, arma in fretta i suoi, passa il mare e assedia, aiutato dagli Etiopi c da' Lapponi, la eittà di Parigi. Carlo Magno, povero di forze, si fa a rintracciare in fretta i Paladini, e tra gli altri Orlando che, furioso ancora, è risanato a forza di
Mult' acqua, poco pane e bastonate. Raccoltigli da diverse parti e dopo varie vieende in Parigi, intima finalmente la