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Storia della Letteratura Italiana
Il Seicento
Bernardo Morsolin
Francesco Vallecchi Milano, 1880, pagine 170

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   ;>!_ CAPITOLO SECONDO.
   eipale del poema, clic è Venere, indurrebbe a pensare l'esplicita dichiarazione dell'autore, il quale finge che l'ingegno poetico gli dica senza ambagi e fin dal bel principio :
   /Scrivi de'falai Dei, sprezza e beffeggia, E le favole lor danna e dileggia.
   Mà a questo intendimento che non sarebbe riuscito forse senza interesse e chc si avrebbe potuto raffermare per soprappiù dall' insieme del contesto dell' intero poema, fa esclusione il dialogo che e premesso a foggia di prefazione in capo al poema. Risulta da quello che lo scopo dello sprezzo e del dileggio è , non già lo sfratto della mitologia dalle opere d'arte, ina il pensiero di contribuire al trionfo della vera religione. Non vuoisi anzi tacere che lo u Scherno degli Dei » si collega in qualche modo alla a Croce Raequistata ». Tant'è vero die le mosse son prese dal tempio che i Gentili aveano fatto edificare sul Calvario e proprio nel sito ov' era stato crocifisso il Redentore. Sicché lo scopo di combattere 1' abuso della mitologia, ragionevole sino a un certo punto nel Tassoni che mirava sopra tutto all'Adone, diviene un fuor d'opera nella epopea del Bracciolini. Quale rifiorir della mitologia metteva a repentaglio nel secolo decimosettimo la religione- ? Dov'era che s'ergessero templi, o si professasse un culto a Diana, a Giove a Mercurio, ad Apollo ? '
   Più a proposito sono invece gli altri scopi, ancorché secondari, i quali trapelano qua e là dal contesto, Nulla di più naturale per un uomo, educato alla scuola dei elassici e conoscitore de'difetti della letteratura contemporanea che mettere in canzone i poeti soliti
   A di r che suda Vana quando piove
   e a confondere insieme e ad ingrandire con arte, quanto strana altrettanto grottesca, i tropi e le ligure
   Sino a chiamar le stelle alte e lucenti Sa la banca del citi zecchini ardenti.
   E nulla di più ragionevole inoltre e di più opportuno clic ferire la presunzione dei molti tra'sedicenti poeti del sccento, i quali, poveri d'estro e di studi, agognavano per fas et per nefas alla corona di alloro.
   Un tempo fu che venerabil cosa y Era il poeta, onde correa la gente, Chc parlar non sapea sa non in prosa, Umile a' sacri carmi e riverente: Ma venuta oggidì presontuosa, Ogni goffo, ogni bue fa da saccente, E si stima ciascun nel suo pensiero Assai più di Virgilio e più d'Omero. Però chi vuole star siili'hdonato, E di severità sparger le carte, Oggi, che il secol nostro è variato, E l'ignoranza non intende l'arte, Ne fa la penitenza col peccato; Che le genti lo lasciano in disparte, E marciscono i versi e le parole Tra le polveri, i tarli e le tignuole.
   E quest'ultimo segnatamente fu un vaticinio, il quale s'avverò pienamente in tutto si può dire, quello sciame di poeti del seicento, chc con intonazione lodevolmente