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CAPITOLO XII.
P avere una città condizionata come era la loro, e poi governarsi secondo quello » esemplo; il quale a chi ha le qualità disproporzionate è tanto disproporzionato, n quanto sarebbe volere che uno asino facesse il corso di uno cavallo (1) ».
E già fino dal 1516 avea scritto : u Non sono più i tempi antieli: dei Romani » e dei Greci, nè quegli ingegni generosi e tutti aspiranti alla gloria; nessuno è a a Firenze che ami tanto la libertà e 1 reggimento popolare, che, so gli è dato a in uno altro viver e più parte e migliore essere che non pensa d avere in a quello, non vi si volt1 con tutto l'animo (2) ».
Egli, adunque, il Guicciardini non è punto ammiratore cieco dei Romani ; e non tanto perchè sappia rilevare nettamente le differenze de' tempi e de' luoghi, quanto e più perchè 1' idea politica unitaria de' Romani non lo seduce. E così, quando egli viene ad esaminare il capitolo dodicesimo del libro primo dei Discorsi dove il Machiavelli riversa sul papato la colpa della mancata unità d' Italia e quindi delle rinnovate invasioni, il Guicciardini comincia col dire ch'è d'accordo coli' amico u che non si può dire tanto male della corte romana che non meriti a se ne dica di più, perchè è un' infamia, uno esemplo di tutt' e ^ tuperi e a obbrobri del mondo ». In quanto poi lai scorgere in essa la causa della disunione politica dogi' Italiani, il Guicciardini ci ha i suoi dubbi; ad ogni modo u se la » chiesa romana si c opposta alla monarchia, io non concorro facilmente essere » stata infelicità d questa provincia, poiché 1' ha conservata in quello modo di a vivere ch'è più secondo la antiquissima consuetudine e inclinazione sua (3) », la quale inclinazione (ch'è la federazione) s'era rivelata al tempo degli Etruschi. L unità sotto una repubblica , egli giustamente osserva , avrebbe importato la servitù e depressione di tutte le altre floridissime città italiane; l'unità sotto un regno sarebbe stata certamente migliore, ma o fosse il fato d' Italia o fosse la complessione degli uomini, è stato sempre impossibile che una tale unità si effettuasse (4). La forma naturale poli, ca degl'Italiani è la lega, la federazione.
Rispetto poi a Firenze, egli, pur dichiarandosi pronto a servire qualunque governo, per impedire mal. maggiori (5), in più scritti s'è dichiarato fautore d'uno stato ristretto ai migliori cittadini che governassero in nome propr o o in nome d'un principe putativo. Queste sue idee sono ripetutamente espresse nel dialogo in due libri sul Reggimento di Firenze, scritto probabilmente nel 1527 (6) c nei Discorsi intorno alle mutazioni e riforme di Firenze (7) ; e fanno di continuo capolino anche nella /Storia d'Italia e nei Ricordo politici. Nei Ricordi infatti, dove più liberamente che altrove egli esprime il suo pensiero, non credendoli destinati al pubblico, dice : u Chi disse uno populo/ t.isse veramente uno ammala » pazzo, pieno di mille errori, di mille confusioni , sanza gusto, sanza diletto, » sanza stabilità (8) n ; mentre nella Storia d'Italia cautamente s limita a fare l'eìogr> dell'ar;stocrazia : «L'esperienza dimostra essere vei\ós;mo, che rare volte a succede quel eh' è desiderato da molti, perchè dependendo communemente gli ìì effetti delle azioni umane dalla volontà di pochi, ed essendo 1' intenzione e i » fini di questi quas sempre diversi dall'intenzione e fini de'molti, possono dif-» ficilmente succedere le cose alti menti che secondo l'intenzione di coloro chc ìì danno loro il moto (9) ».
Federai , ta e repi iblicano ar stocratico, il Guicciardin , pur continuando anche dopo consumata la rivoluzione unitar'a e monarchica d' Italia e di Firenze, a
(1) Op, in. 1, 125 (Ricordo IX).
(2) Op. in., II, 333-4.
(3) Op. in., I, 30.
(4) Op. in., I, 29.
(5) Vedi addietro, p, 53.
(6) Benoist, Guicciardini ecc., p. 122.
(7) Editi nel voi. I e II delle Opere inedite.
(8) Op. in., I, 135; o si confronti il ric. 345 a p. 202.
(9) Lib. V. cap 4,