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Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

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a cura di Federico Adamoli

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   274 CAPITOLO IX.
   » sto lettere col corpo come mi trasformo coll'animo; ch'io so che soddisferei in ¦ì un tempo al vostro c al mio desiderio. Appagatevi della mia volontà, poiché » non potete dell'effetto; essendo voi secura che sì spesso sovra l'ali della mia j> affezione vi mando i miei pensieri vestiti d'una candida ed inviolahil fede, che » il più del tempo vivono con esso voi; esc ili medesimo fate voi con meco (come » spero e desidero) son certo chc non solamente spesso, ma ognora s' ncontrano » i nostri pensieri nel cammiuo. So che questa mia lontananza vi porta grandis-» simo fastidio e dispiacere, e sento nel mio cuore istcsso i fieri colpi del vo-» stro dolore: i quali tanto più mi trafiggono l'animo, quanto meno -v conosco » forte a poterli sopportare; non perchè vi manchi prudenza, ma perchè vi so» vrabbonda affezione e amore......Vivete lieta; e col piacere che pi gli ite
   » de'cari figliuoli, chc ognor rappresentano l'immagine mia, passate il fastidio della » lontananza del marito (1) ».
   Il seguito delle vicende di Bernardo è ben noto; ma gioverà ricordare chc quando Porzia abbandonata ali ingordigia de'paiBnti morì di crepacuore o di veleno, Bernardo, ch'era a Roma, ne provò dolore e quas rimorso, e si sfogò scrivendone agli amici, e ai parenti, e a' mecenati.
   Una lettera al signor Amerigo Sanscverino comincia così: u La fortuna, non » contenta delle mie infelicità, per farmi compitamente misero, ha tolto la • ita a » quella infelice giovane di mia moglie, per uccider con questa morte il sostegno » di questi sventurati figliuoli, la speranza che m restava del riposo d questa » mia sconsolata vecchiezza. Piango la morte di quella sventurata giovane, la quale » amava più che la Aita mia, ma non tanto quanto essa meritava; piango la ca-» gione della sua morte chc sono io, perchè non doveva per una vana amb:;:-onc » d'onore, e per l'affezione che portava al principe abbandonar le i nuei sfor-» tunat figliuoli, il governo della casa mia (2) ». E alla sorella Affra egl scriveva: « Quale umana contentezza era rimasta alla misera, la quale roi muova » a desiderarle v .;a? certo niuna; conciossiacosaché essendo essa di grandissimo » intelletto, di molta prudenza e di molta virtù, rimasta per 1' esilio n.io quas> » vedova, senza parenti che il suo e'1 beneficio degli amati figliuoli procurassero, » senza amici che nella avversa fortuna le dessero ajuto, nè consiglio, stava in » continui timori e dispiaceri. Ella era g ovane e d'onesta e graziosa bellezza c » tanto gelosa del suo onore che, contro ogni nostro naturale istinto, ha des » derato più volte dopo l'infe .ce caso dell'es liJ mio d'esser vccch.a e brutta. . . . » Ella amava tanto e me e Torquato che, vedendos lontana dalle due p i care » cose, con poca speranza, per le perturbazioni di questo mondo, di poter sotto un » tetto medei 'rao lietamente passar la vita sua, v'vea con l'ai mo da diverL ti» mori, quas nuovo IFizid da vari augelli, roso e lacerato (3)
   Che se l'ambizione politica da un lato ha impedito a quest'uomo d'esser marito e padre felic.\ simo; 1' ambizione letterari, dall'altra gli ha tolto talvolta di espi mere i senti nenti del suo cuore con quella semplicità e vivezza colla quale li s vede formarvi , Egli è uno de' pi. ni che nel e Lqueccnto gi mgano e tocchino la riva del nuovo ideale della \ tal privata, egli chc sì dolcemente 1' avea cantato nell' Amadigi; ma se ne lascia poi distrarre, e ne perde i santi conforti.
   Di fronte all'importanza degli epistolari già discorsi s'attenua dì molto quella di alti pur famosi ai loro tempi, come quello voluminoso Idi Claudio ' olomei lodatiosimo da B. Tasso (4), o il breve ed elegante del Bonfadio, quello del Franco, del Doni, ecc.
   Ricordiamo piuttosto, p una di finire, le lettore ' Eruttive del Sassetti, che tuttora si leggono con interesse.
   (1) I, 306-403.
   (2) II, 157.
   I) II, 177-4.
   (4) Lettere, I, 423.