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CAPITOLO IX.
e pargoleggia e se la spassa con loro ; e più tardi importuna molti signori, per costituire alla maggiore, che sposava un Diotallevi Ilota, bergamasco, la dote. — Nè solo delle figlie s'occupa egli, ma ben anco d'una sorella Francesca, da lui data m moglie ad Orazio Vanotti, e dei tìgli orfanelli di lei (1).
Ma naturalmente ad un uomo come lui l'amor platonico per la Serena, il quasi paterno per Ferina, la tenera amicizia per la madre di Adria, le cure affettuose per la sorella, la tenerezza per le figliuole, non impediscono di abbandonarsi, anche negli ultimi suoi anni, al più allegro libertinaggio. La sua casa ospita a vicenda le gran dame di Venezia e dei paesi vicini, e le cortigiane più celebri, e le donnette più appetitose. Le » ancille » sembrano il suo elemento prediletto, e de' suoi spassi con loro liberamente parla in una lettera al Fossa (Venezia, 1547), la quale finisce così: u Chiudo col dirvi che io che non tenui mai odio a » uomo alcuno in gioventù, non posso tenermi di non amare tutte le donne in » vecchiezza (2) ».
Nè questa vita lasciva impedisce a lui, come non impediva al Celimi, di osservare le pratiche religiose e di farsi talvolta paladino della pubblica moralità. E così le sue lettore sono piene di vituperi contro i preti, in ispeeie contro . chietini (3) che Si davano l'aria santa e facevano vita libertina; così egli, l'Aretino, poteva scrivere a Clemente VII prigioniero in Castel Sant'Angelo che s rivolgesse « a Gicsù con i preghi e non a la sorte con le querele (4) w; potea far regolarmente la confessione e la comunione (5), frequentare le prediche, prender le difese de' frati buoni diavoli incolpati di credenze sospette (6); e de'suoi scritti lascivi scusarsi dicendo che « d'ogni male è cagione la voluptà d'altrui e la ne-n ccssità mia; che se i Principi fossero tanto chietini quanto iq bisognoso, non » ritrarrei colla penna se non Misereri (7) » ; ma ciò pur troppo non è, tant'è vero che il Brucioli colla sua traduzione della Bibbia dedicata al Cristianissimo non ebbe nemmeno un soldo, ed egli, l'Aretino, colla dedica della Cortigiana ebbe dal gran re una preziosa collana.
Lo schifo morale che ispira l'autore, e un certo sforzo continuo nella lingua e nello stile (se se ne eccettuino poche lettere di grande confidenza)^ fanno sì che questo epistolario dell'Aretino sia ormai pochissimo letto, benché da esso meglio che da altri volumi si possa aver un'idea d una persona e d'una età così degni di nota.
Si leggono invece, almeno .n parte, e si lodano da retori e dai buongustai le lettere di Annibal Caro (8), che anche a noi sembrano dettate con molta semplice e festiva eleganza, ma insieme quasi del tutto vuote di pensiero e di rivelaHoni storiche sull'autore e sul suo tempo. Anche il Caro partecipa un poco della tempera del Cellini e dell Aretino; anch'egli è morto alla vita politica e ama vivere e godere, e da natura è tratto a pigliar tutto in gioco. Se non che la sua cultura maggiore, benché pur essa ristretta, come si vede nella disputa col Castel-vetro, ha temperato il suo carattere; ed egli in tutto il suo dire e il suo fare è pieno di urbanità. — Importami per la storia poetica tra il 1547 e il 1562 sono invece i tre volumi di lettere da lui dettate per conto del cardinale Alessandro Farnese (9).
Delle lettere famigliari e officiali di Pùetro Bembo abbiamo già dato più saggi nell'intessorne la biografia; e nella biografia di T. Tasso abbiamo dato pur saggi
(1) III, 14.
(2) IV, 127.
(3) III, 170, 297; IV, G0, CI.
(4) L 12.
(5) IV, 179.
(6) V, 198.
(7) II, 19.
(8) Abbiamo sott'occhio l'edizione declassici italiani, Milano, 1807. dove formano i tre primi volumi delle Opere.
{$) Stanno nei volumi IV-VI della citata edizione delle Opere.