L' IDEA DELLA VITA PUBBLICA NELLA STORIOGRAFI A. 261
le precauzioni e gli avvedimenti de' politici, che possono dirsi contenti se riescono a moderarla e a mettersela sotto nelle cose di minor conto. E queste coso di minor conto clic i politici e i soldati possono dominare, sono quindi quello che più importano al nostro storico, tutto e sempre animato da un intelligente egoismo, spinto dal quale egli cominciava la sua carriera di letterato con delle memorie di famiglia e autobiografiche, chc nella Storia di Firenze si estendevano a tutta la città, ma sempre dando speciale rilievo alla storia del suo partito politico; per accingersi alfine alla grande Storia d'Italia, destinata come a mostrare la fatalità di ciò che è accaduto nel primo terzo del secolo e come tutta 1' attività dell' autore e de' suoi pari nulla potesse noli' insieme a mutare le sorti d'Italia, pur riuscendo a qualche parziale e momentanea vittoria, o ad ottenere il mcn peggio.
Uomo di pratica e, a suo modo, onestissimo, egli ci ha dato un grande esemplare di storia prammatica, minuta, appurata, per mettere insieme la quale egli non ha attinto solo alla propria memoria, ma anehe alle fonti più autorevoli, quali erano le relazioni degli oratori fiorentini ch'egli potò esaminare nell'archivio mediceo, e infine le storiche relazioni di testimoni oculari di fatti, ai quali egli non aveva avuto parte (1). Cesi sappiamo aver egli tolta la descrizione della battaglia di Pavia e presso che tutto il libro decimoquarto dal milanese Galeazzo Capella ed altro da altri (2).
Se noi pertanto ci contentiamo di cercare nell'opera sua la storia ragionata dei particolari politici di quel tempo, certo ne rimarremo pienamente soddisfatti; se invece sperassimo di trovarvi lo ragioni universali di quel tempo, e 1' idea cito domina l'insieme della storia d'Italia sul principio del secolo XVI, resteremo gravemente disillusi. Una tale storia non fu fatta nel cinquecento e diremo quasi ch'è ancora in gran parte da fare: le è mancato un Machiavelli.
Gli altri storici di Firenze o che di cose fiorentine si occupano a preferenza, tutti appartenenti al genere prammatico anche quando vorrebbero seguire le orine del Machiavelli, possono dividersi, rispetto al loro contenuto politico, in due classi, costituita la prima di quelli che navigano a seconda e accettano i fatti compiuti della prima metà del secolo o anche li esaltano; ia seconda di quelli che con desiderio ripensano al passato e pi fronte al presente si atteggiano da oppositori. Alla prima elasse, chc idealmente continua il Machiavelli, foriero dello grandi unità politiche, e fautore di quella democrazia che prevalse colle rafforzate signorie, appartengono Fr. Vettori, P. Giovio, F. Nerli, B. Segni, B. Varchi, I. Pitti e G. B. Adriani; alla seconda, che continua idealmente il Guicciardini, e vagheggia la federazione indipendente, appartengono il Buonaceorsi, J. Nardi e G. M. Bruto (3). Ne facciamo la rassegna, cominciando da questi ultimi.
Biagio Buonaceorsi, compagno del Machiavelli negli uffici della cancelleria ai tempi del Soderini, e privato, come il Machiavelli, dell'officio col ritorno do'Medici nel 1512, dettò un magro, ma sincero Diario che dal 1491 va al 1512, e fu edito la prima volta a Firenze nel 1608.
Jacopo Nardi (4), schietto e tenace republicano, esiliato nel 1530, e vissuto poi quasi sempre a Venezia, dopo essersi compiaciuto a tradurre la libera storia di Roma di Tito Livio (Ven. 1510), stese anche quella della sua città. Rapidamente egli trascorre sulla storia antica, e diffusa rende la sua narrazione dal 1494 in poi dove egli comincia a servirsi del Diario del Buonaceorsi (5). . Lungamente espone la magnanima resistenza de'Fiorentini nel 1529, si Sofferma con compiacenza
(1) Benoist, Op., cit., p. 244 in nota.
(2) Cfr. Cantù, Storia degli Italiani, III, 129 in nota.
(3) I criteri di questa classazione sono più largamente indicati nel capitolo XII, o\e si tratta degli scrittori di politica.
(4) Nato nel 1476 e morto circa il 1563.
(5) Edita la prima volta nel 1532. Noi abbiamo sottocchio l'edizione di A. Gelli, Firenze 1858, iu due volumi. Egli stesso confessa i suoi debiti col Buonaceorsi nel cap. 5 del libro VI.