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Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

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a cura di Federico Adamoli

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   L' IDEA DELLA VITA PUBBLICA NELLA STORIOGRAFI A. 257
   dopo Roma, un'altra città che potesse ripigliarne la tradizione e farla rivivere? A questa domanda rispondono gli altri sette libri delle Storie fiorentine, nei quali si dimostrano le cause per cui anche Firenze fallì nel tentativo di ereditare 1 destini di Roma.
   Queste cause sono quasi tutte interiori, dipendono dagli umori del suo popolo, e quindi dagli intimi ordinamenti della repubblica; e però il Machiavelli, trascurando la storia delle guerre e delle paci, che già fino al 1434 era stata narrata da Leonardo Aretino e dal Poggio, tenta di darci una storia intima di Firenze, la storia delle sue divisioni, come egli dice nel Proemio, la storia della lotta eterna fra le forze che si contrastano il primato nella patria città.
   Da questa storia intima il Machiavelli ricava, quasi a guisa d'insegnamento morale e politico, le osservazioni che prepone ai singoli libri, e clie sono come la risposta al quesito che lo tormentava.
   Perchè adunque, secondo il Machiavelli, la repubblica di Firenze non s'è fatta grande e potente come quella di Roma? Perchè non è dessa riuscita a farsi centro e signora d'Italia ?
   Perchè, egli risponde, l'è mancato il romano istituto delle colonie, il quale, oltre esser cagione u che nuove terre si edificassero, rendeva il paese vinto al » vincitore più sicuro, e riempiva di abitatori i luoghi vuoti, e nelle provincie gli » uomini-bene distribuiti manteneva . . . Sendo mancato pertanto quest'ordine » del mandare le colonie, i paesi vinti si tengono con maggior difficoltà, ed i paesi » vuoti mai non si riempiono, e quelli troppo pieni non si alleggeriscono (1) ».
   Perchè, mentre presso i Romani le contese tra i nobili e popolari si risolvevano colle discussioni e collo leggi, in Firenze (« se egli è lecito le cose piccole alle grandi agguagliare (2) ») si diffinirono combattendo, e con l'esilio e con la morte di molti cittadini. Il popolo romano voleva godere i supremi onori insieme co' nobili ; quello di Firenze ha voluto invece esser solo al governo, escludendone i nobili. E così mentre Roma si fece forte della virtù dei nobili e del popolo riuniti nel rispetto delle leggi comuni, a Firenze le vittorie de' popolani si conchiusero colle cacciate de' nobiL, cioè col privare la città delle loro forze e della loro intelligenza; c u quella virtù d' armi e generosità d' animo eli' era nella nobiltà si spegneva, e » nel popolo dove la non era, non si poteva raccendere ... e Firenze sempre » più umile e più abbietta ne divenne (3) ».
   Perchè, mentre per gli antichi e in ispecie por i Romani la legge era sacra, e così poterono avere una sana libertà, nelle repubbliche moderne si passa dalla licenza alla servitù, essendo fatta la legge dal capriccio del partito che di tempo in tempo è al governo (4).
   Perchè i moderni, e peggio di tutti Firenze, non sanno più fare la guerra, non hanno più militi, ina mercenari; e dalla vittoria non ritraggono nò sicurezza nè vantaggi; e perdendo, devono sopportare le ingiurie che ai nemici piaccia d'infliggere ; e vincendo, quelle che infliggono gli amici condottieri cui la vittoria imbaldanzisce (5).
   Perchè negli stati moderni, e particolarmente a Firenze, invece che colla lotta 'aperta, si procede per via di congiure (6).
   Tutti i quali malanni, come fu dotto, hanno la radice nella diversità fondamentale tra i partiti politici antichi e i partiti politici moderni, questi animati da un sentimento esclusivo di prepotenza, quelli dal sentimento di equità : giacche la mancanza di armi proprie e la conseguente decadenza dell'arte della guerra;
   (1) Libro secondo, in principio,
   (2) Libro terzo, in principio.
   (3) Ivi.
   (1) Libro quarto, in principio,
   (5) Libro sesto, in principio.
   (6) Libro ottavo, in principio.
   Canello. 33