CAPITOLO IX.
Quel suon fastoso e vano, Quell'inutil soggetto Di lusinghe, di titoli e d'inganno, Ch'Onor dal volgo insano Indegnamente è detto; Non era ancor degli animi tiranno. Ma sostener affanno Per le vere dolcezze; Tra i boschi e tra le gregge La lede aver per legge, Fu dì quell'alme, al ben oprar avvezze, Cura d'onor felice, Cui dettava Onestà: Piaccia, so lice.
Allor tra prati e linfe Gli scherzi e le carole, Di legittimo amor furon le faci. Avean pastori e ninfe Il cor nelle parole: Dava lor Imeneo le gioie e i baci Più dolci e più tenaci. Un sol godeva ignucle D'Amor le vive rose: Furtivo amante ascose Le trovò sempre, ed aspre voglie e crude 0 in antro o in selva o in lago; Ed era un nome sol, marito e vago.
Secol rio che velasti Co'tuoi sozzi diletti Il bel dell'alma; ed a nudrir la sete Dei desiri insegnasti Co'sembianti ristretti, Sfrenando poi l'impurità segrete! Così, qual tesa rete Imi fiori e fronde sparse, Celi pensier lascivi Con atti santi e schivi: Bontà stimi il parer, la vita un'arte ; Nè curi (e parti onore) Che furto sia, purché s'asconda, amore.
Ma tu deh! spirti egregi Forma ne'petti nostri, Verace Onor, delle grand'alme donno. 0 regnator de'regi, Deh torna in questi chiostri Che senza te beati esser non ponno, Dèstin dal mortai sonno Tuoi stimoli potenti Chi per indegna e bassa Voglia seguir, te lassa, E lassa il pregio dell' antiche genti. Speriam; che'l mal fa tregua Talor, se speme in noi non si dilegua.
Speriam; che'l sol cadente, anco rinasce; E'I Ciel quand.o men luce, L'aspettato seren spesso n'adduce.