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CAPITOLO IX.
donna Sostrata, quand'abbia un manto sfinito dagli anni, resisterà bensì ai primi assalti della libidine, ina finirà poi eoi cedere, specialmente perciò ehe la sua onestà si fonda unicamente sulla sua religiosità, e la sua religioì ità è tutta formale, tutta alla superficie ed accetta per buono, non ciò che per buono riconosee la ragione, ma ciò che per buono le è indicato da Fra Timòteo; e, cedendo, sarà an-eh'essa ridicola per la spiccante antitesi tra il suo fondo buono e l'austerità di prima, e l'accondiscendenza e libidine di poi: è, che uisomma, una famiglia costituita a quel modo, sia pur essa composta di persone oneste e per bene, e sia pure che i disturbatori ne sieno onesti e perbene come Callimaco, finirà per useire de' cardini, finirà per essere una famiglia fallita.
Ed è la satira appunto di cosiffatte famiglie che aveva in animo il Machiavelli, nel suo quadro evidente e reale della famiglia di Nicia e Lucrezia.
Noi. del resto non vogliamo affermare nè che tutti in Italia nè che tutti in Firenze, quando il Machiavelli scriveva la Mandragora, avessero un concetto sì savio della costituzione della famiglia. Molto sarà da tribuire, oltrecehè allo speciale ambiente fiorentino, alla tempra speciale del Machiavelli. Un autor meno grave potrà ben, dopo di lui, rivelarci un eoneetto assai inferiore e arretrato sullo stesso problema. Ciò si avvera, per esempio, in Pietro Aretino.
Fure anche Fietro Aretino, fin dalle prime, rivela una coscienza morale molto superiore al Bibbiena.
Nella Cortigiana (1534^ egli dava una viva pittura satirica della vita romana, contrastata tra ruffiane, sgualdrine e imbroglioni, che allettano i inerii colla speranza degli onori ecelcsiastiei, i merli che accorrono da Siena e da Napoli, e vi restano spennati come messer Maco e messer Parabolano; e nella Talanta, ehe è posteriore di pareceiii anni, egli mostrava un altro aspetto del quadro medesimo attenuandone le tinte e meglio proporzionandone le parti; e qui il merlo grosso viene di Venezia e si chiama messer Vergolo. Da entrambe queste commedie, in eui l'osceno, d'altra parte, è assai meno di quanto ei saremmo aspettati, traspare una serena coscienza del meglio, che vedemmo mancare al Bibbiena: e il riso, che n'è promosso, è satirico, specie nella seconda, dove lodevolissima è la pittura di Talanta, cortigiana, messaei innanzi con tutta verità, eoi suo bene e eoi suo male.
Ma in queste due eommedie l'Aretino non ebbe oeeasi me di affrontare, almeno direttamente, il problema della vita conjugale, problema ehe sotto la forma piuttosto di farsa che di commedia, egli aveva trattato nel Marescalco (1).
Tutta la favola n'è costituita da una burla ehe il duca di Mantova fa a un suo manesealco aliemssiino dal pigliar moglie, e assai contento,'per quanto pare, del suo ragazzo Giannieeo. La burla consiste nel fargli credere che a corte lo si voglia, per ogni buon fine, sposare, e nel fargli sposare un paggio ves, .to da fanciulla. 11 concetto della commedia è fin troppo chiaro: e a chi non l'avesse ea-puo s incarica di spiegarlo sul fine ii pedante: u Spettatori, noi destiniamo, favente » deo, come gli studii vacano, comporre una commedia del successo del Mare» scalco con quattro dispute. Nella prima tratteremo de la felicità di coloro, ehe » son rimasi senza mogliera. Ne la seconda discorreremo de l'infelicitade di quelli » ai qual: ella morir non vuole. Ne la terza narreremo de la ruina, che viene in » su gli omeri e in su le spalle a chi la deve torre. Quarto et ultimo, eonclude-« remo la beatitudine di quelli, che non l'hanno, non la vogliono, e non l'ebbero » ma (2) ».
Ma l'umiltà de' personaggi mess in seena e il carattere conscguente d farsa ehe ha questa produzione, non e permette di raccogliervi l'intero pensamento del-
(1) r. A.,1 voi. VI. Edito la prima volta nel 1534; ma era giè scritto prima del >530 (Vediil Gin-gaené, VI, 248).
(2) T. A., VI, 283