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Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo sesto.
   medie ci occupiamo appunto nel presente paragrafo, contentandoci però di esaminare alcune fra le più importanti, collo scopo di mettere sotto gli occhi del lettore discreto la materia del giudizi! e colla speranza di persuaderlo sempre più di quanto sulla v'ta privata italiana del cinquecento abbiamo detto nel capitolo secondo.
   La Calandrici (1) è davvero commedia turpissima nell'azione e nel dialogo; e più turpe ancora, perchè mostra nell'autore una perfetta incoscienza di questa turpitudine.
   L'intreccio della Calandria tolto in parte dai Menacchmi plautini e iti parte inventato è talmente avviluppato che noi disperiamo, senza esser troppo lunghi, di farlo intendere a chi legge. Nè la conoscenza dell'intreccio importa gran fatto all'intelligenza della commedia; basti sapere trattarsi d* continui equivoci, causai dalla perfetta rassomiglianza tra due gemelli, Lidio e I dia, il primo de' quali è l'amante di Fulvia, moglie di Calandro, e l'altra è amata da Calandro stesso. Ora, siccome i due giovani vestono a vicenda abiti maschili e femminili, e possono quindi essere di continuo scambiati, s imaginino le delus >ni a cài vanno incontro i due coniug esemplari, che ne sono innamorati!
   Ciò che nella Calandria importa più dell'intreccio sono i costumi dei personaggi messi in scena. Già quel canto che ne abbiamo detto può darne il embr'onc un'ides idea che si farà più chiara quando avremo soggiunto ehe, alla conclusi ne della commedia, le cose restano disposte in modo che Fulvia possa tranquillamente continuare i suoi sfoghi amorosi con Lidio; e che, per salvare tutte le buone apparenze, egl sposa la figlia del mercante Perdio, già destinata alla sorella Lidia creduta maschio; che Calandro, mar ;o infelice e infelicissimo innamorato, ha avuto tal lezione da non ardire mai più d'impacciarsi nelle cose della moglie. E poiché sarebbe proprio peccato che sì belle condizioni non si dovessero perpetuare, a maggior gloria della vita matrimor ale, anche nelle successive genera-z'^ni, ecco che Fulvia, come premio dell'amore di Lidio, dà Lidia in moglie a un proprio figlio che vive in campagna, facendovi probabilmente la vita stessa che la madre fa in città.
   « La Calandria (dico il Graf) ci porge una viva, tuttoché inconscia, pittura >? dello sfacelo morale a cui l'Italia e più Roma è data in preda nel cinquecento (2) »; o più esattamente (diremo noi) dello sfacelo morale di Roma, sul principio del cinquecento, in un ambiente sociale il cui elemento predominante sono i prelati, i cortigiani c Signori ecclesiastici, i quali per abitudini e stituto sono alieni dal mati monio e dalla vita di famiglia. La v;ta di famiglia, qual'era a quel tempo e in quel luogo, diventava facilmente un oggetto di riso, una materia di burla; era materia sulla quale, come u in anima vili » potevano esercitare il loro spirito glf ngegn culti e superiori delle corti. E perchè appunto ne' cortigiani de' ignori ecclesiastici, qual era il Bibbiena, e nella gran massi del pubblico cortigiano a cui la sua commedia veria destinata, non c'era, aspetto alla famiglia, nessuna idealità si periore, nessun dei der j del meg o, e quindi nessuna coscienza, che le opere di Fulvia o di Calandro fossero cattive, non poteva entrare nella Calandria il vero comico, che r.sulta appunto dal contrasto ideale fra ciò che l'uomo potrebbe veramente fare e ciò che realmente fa, tra l'ideale e il reale; ma c'entra nvece il comico più umile, farsesco, che prorompe dalle curiose combmazioi ,, dalle grossolane delusioni, dalle oscene allus oni, da tutto un complesso di misera vita, a cui sia lo spettatore che l'autore rimangono stranieri: quel comico, nsomma, che prorompe dai fatti e dai lazi d'un pagliaccio o dalle smorfie d'una scimmia.
   ( era bensì nella Calandria un elemento comico vero, che l'autore avrebbe potuto far prorompere.
   (1) T. A.,, voi. I.
   (2) Op, cit., p. 8P