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capitolo sesto.
Dolce. Erode è crudele di natura, ma ama ardentemente e brutalmente anzi la sua donna. Egli è geloso; e prevedendo di poter perire ih una spedizione, dà ordine, che, alla nuova delia sua morte, la moglie venga uccisa. Soemo, incaricato del duro ufficio, ne dà notizia a Marianna; e i rapporti fra i due assumono quella apparenza d'intimità che sono più che sufficienti a spingere Erode all'eccidio prima di Soemo stesso e d'Alessandra madre della regina, e poi di Marianna e dei figli di lei. Quando aitine egli s'accorge dell'errore, invano s'affretta a rimediarvi: egli vorrebbe salvare i figli almeno; ma come prima egli s'era brutalmente compiaciuto nel sentir narrare la morte di Soemo c nel contemplarne (sulla scena stessa) le membra straziate, egli ora è costretto a sentirsi narrare con tutti gli strazianti particolari la morte dei ligli pargoletti. Vedete, conchiudc il coro,
Vedete, egri mortali, Come Vira è cagione D'incomparabil mali (1).
Erode ha in se l'embrione di Otello; e pur in Marianna, ben osservando, si può scorgere il piimo profilo di Desdemona. Marianna non è del tutto innocente ; ella si sente offesa e minacciata dalla eccessiva gelosia del marito; e non è quindi cauta abbastanza nel suo contegno di fronte a lui ed a Soemo: cosi come Desdemona, pur essendo innocente dell' adulterio, ben è colpevole di poca cautela nei suoi rapporti con Cassio, tanto più che sapea d'aver a fare con un marito nel cui cuore echeggiavano ancora le parole di Brabanzio-
8'hai gli occhi aperti, su lei veglia, o Moro; Inganno il padre, e può ingannar te pure (2).
Nel dramma del Dolce il destino è concepito arditamente come il naturale contrasto de' caratteri umani; cesi come nell' Orazia dell'Aretino esso è concepito come effetto del contrasto fra diritti egualmente legittimi, i quali invece di coordinarsi vengmo a cozzo. Che questa sia la sola concezione vera, noi non c'iremo: certo è una concezione altissima e quella che più solleva la dignità dell' uomo.
Col decimare del secolo, il ravvivarsi dell' idea religiosa intralciò la ncerca e l'affermamenco del nuovo concetto del fato; ciò che appare in ispecie nel Pastor Fido di G. B. Guarini, J quale tentò di combinare l'idea cristiana colla pagana (come Dante avea fatto dei rapporti tra Dio e la Fortuna), subordinando la seconda alla prima. Di questo dramma avremo ad occuparci più tardi; ora ci basta osservare che tutta la sua favola ha le apparenze pagane: siamo in Arcadia; Diana vi ha i suoi sacerdoti ed oracoli, che rivelano il volere del fato. Eppure sopra il fato cieco c'è qualcosa di più alto e intelligente: c'è una provvidenza cristiana, che, non si sa come, s'è installata nel cielo de'Greci. Il coro, infatti, comincia col rivolgersi a Giove, autore della legge d'amore, e finisce indirizzandosi a un u alto motor del cielo n, che par sempre, ma non può più essere Giove stesso, poiché domina anche il fato:
Ma hi che stai sovra le stelle e'I fato,
E con saver divino
Indi ne reggi, alto Motor del cielo;
Mira, ti prego, il nostro dubbio stato ;
Accorda col Destino
Amore e sdegno; e con paterno zelo
Tempra la fiamma e'I gelo (3)
(1) T. A,, V. 315
(2) Shakespear, Otello, atto I (trad. di G. Carcsino).
(3) Il Pastor Fido. Atto I; coro finale