Stai consultando: 'Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI ', U.A. Canello

   

Pagina (238/343)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (238/343)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   230
   capitolo vii.
   ma sa un po'troppo di esserlo, e della sua bontà e giustizia troppo presume; e questa presunzione appunto gli vieta di scoprire un po' prima chi egli sia e clic cosa abbia fatto. S'aggiunga che, pur concepito così, T Edipo parve a Sofocle e ai suoi contemporanei troppo miserabile vittima del destino; e però all' Edipo re tenne dietro l'Edipo colonéo, in cui la vittima del fato è riabilitata dagli dei.
   Per nostro modo di vedere, nell'Edipo sofocleo si tenta di scemerò quel tanto, elie pur nelle sventure fatai è opera del carattere individuale; e il fato dal di fuori si comincia a concepire dentro il petto dell'uomo, quale l'ha mostrato poi specialmente la tragedia shakespeariana.
   Ma comunque sia da intendere il fato noli' Edipo, o forse appunto perchè il problema può trovarvi tante diverse interpretazioni, questa tragedia, anche in grazia della sua celebrità letteraria, fu molto studiata nel cinquecento, e vi ebbe parecchie versioni e un rifacimento e un' imitazione. Tradussero ['Edipo P»ernardo Segni fiorentino, Girolamo Giustiniani, Pietro Angelio da Barga, e Orsatto Giustiniano, la versione del quale servì nel 1584 per una recita nel teatro olimpico di Vicenza. Nel 1556 poi a Padova, in casa Cornaro, era stato recitato il rifacimento di Gio. Dell'Anguillara (1); e nel 1574 T. Tasso scriveva il primo atto e parte del secondo del suo Torrismondo, compiuto poi solo nel 1586.
   Ma se poco felice era stato TAnguiilara nel l'ammodernare 1' Edipo sofocleo, più infelice fu ancora il Tasso nella sua imitazione. Il suo Torrismondo, che voleva essere un Edipo moderno, ha appena qualche rassomiglianza estrinseca con lui. Si giudichi da questo rapido aunto della favola.
   Un re di Gozia, padre di Torrismondo, temendo, come Lajo e Giocasta, di presagi riguardanti sua figlia Rosmonda, la fa educare nelle selve, d' onde essi è rapita e venduta poi al re di Norvegia, il quale la educa per sua e la chiama Alvida. Ora avviene che Germondo, principe ereditario di Svezia e grande amico di Torrismondo, s innamora di Alvida, e non la può avere per 1 grande odio che contro di lui ha il re di Norvegia. E però ricorre allo strano sotterfugio di mandare l'amico Torrismondo a chieder Alvida per se, per poi cederla a lu.. Tor-rjòinondo va e l'ottiene; ma per viaggio trovatosi solo con lei dopo un'orribile tempesta, vinto dalle carezze di Alvida che gli s> crede sposa, ne coglie il primo fiore. Come farà ora a contentare l'amico? Egli pensa di dargli in cambio una propria sorella, Rosnionda ; ma costei, per cansare Tinv so matrimonio, gli rivela sè non essergli sorella, ma altra fanciulla stata di nascosto sostituita alla Rosmonda rubata. Ciò spinge Torrismondo a investigare le sort! della Rosnionda vera; e così viene egli a sapere che Rosmonda vìve in Alvida. La scoperta, anzi chè turbarlo, lo rasserena per un. momento; egli pensa che ogni cosa potrà accomodarsi; e va a comunicare la sua scoperta ad Alvida, sperando di persuaderla ormai facilmente a sposare Germondo. Ma Alvida suppone in tutto ciò ur indegno intrigo per liberars di lei; ella ama Torrismondo creduto suo sposo e non altri, e disperata del creduto abbandono si uccide. Sul corpo d' lei si uccide anche Torrismondo, lasciando il suo regno all'amico.
   Lasciando pur stare la noja delle scene lunghissime, delle descrizioni c dei sol oqui interminabili, ciò che manca assolutamente al dramma del Tasso sono i caratteri. Torrismondo non ha coscienza, non ha dignità: nè ciò appare già dal non aver saputo resistere alle innocenti lusinghe d'Alvida, ma dal modo in cui si mostra disposto e quasi felice di dare all'amico la sposa non più vergine e incesta. Per chi non ha coscienza più delicata di lui, l'incesto non può essere cosa molto grave o tragica; e quel caso capriccioso che gliel'lia fatto commettere, poteva rjsparmiarsene la briga.
   I cori freddi stiracchiati slegati dal soggetto mostrano e confermano che il Tasso non ha veduto nel Torrismondo che una buona occasione di sfoggiare i suoi migliori endecasillabi.
   (1) Sul valore di questo lavoro, si yegga la critica tagliente del D'Ovidio, Saggi critici, p.27òseg.