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Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

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a cura di Federico Adamoli

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   saggi di dramma filosofico.
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   poco a frenare il ritorno al concetto trascendente, come dapprima avevano ajutato il passaggio dal concetto religioso al concetto razionale. Ed è curioso che i tanti, i quali hanno declamato contro i danni dell'eccessiva devoz'one de'nostri umanisti per le forme del teatro greco-latino, devozione che secondo taluni di loro avrebbe impedito lo svolgimento d'un dramma veramente razionale, quale l'hanno avuto gli Spagnuoli e gl'inglesi, abbiano poi scordato l'evidente beneficio che a quelle forme noi dobbiamo: esse erano là, già maturate e compiute dall'arte antica; e all'arte nuova incipiente servirono di rotaja, e come necessario avviamento a riconoscer più presto il concetto razionale della vita; e a mpedir poi che troppo recisamente quel concetto venisse abbandonato.
   § 2. — Saggi di dramma filosofico.
   Prosciolta ormai l'umanità dalla medioevale tutela della Provvidenza, restava pur sempre amplissimo campo per concezioni diverse dei destini dell'uomo: concezioni che in gran parte si vollero desumere dallo studio del teatro tragico antico, mentre altre furono escogitate in cruda antitesi al concetto cristiano, o per armonizzare con esso il coneetto antico or ravvivato.
   E già diversi erano i modi in cui nell'antichità greco-romana si trovava concepito il destino. Per i più e per i migliori esso fu qualche cosa di superiore agli uomini e agli dei stessi, non escluso il massimo Griove; una potenza arcana, di cui di tempo in tempo si veggono le ingerenze nei fatti dell 'uomo ; qualche cosa che il mondo e l'uomo portano in sè e non possono mutare: insomma, un'oscura concezione di quella che noi diciamo forza delle cose e dipendenza dell'uomo dal cosmo fisico e morale.
   Quanta parte ha l'uomo di responsabilità nelle proprie azioni e quindi nelle sue sventure; e quanta è invece da riversare sul fato? Quali sono per conseguenza gli uomini veramente compassionevoli? Quali i limiti del fatale, che l'uomo saggio non deve oltrepassare'1
   A tutte queste domande volle nspondere la tragedia greca: essa insegnava specialmente a moderare i due nostri sentimenti più facili ad esagerai si : la compass me e il timore; mostrava chi veramente, perchè vittima del fato o di perdonabile errore, meritasse compianto; e quali siano le forze veramente superiori che l'uomo deve temere (1).
   La tragedia antica in cui più duramente si rivelava l'esistenza e la prepotenza di questo forze superiori all'uomo è l'Edipo re. Noi non dividiamo pienamente l'opinione dello Schnetdewin, secondo il quale nell'Edipo s mostrerebbe u che non v'è saggezza o virtù bastante a vincere la forza del fato, e che inoltre il delitto, sia pure involontario, non è per questo meno rovinoso al delinquente (2) n. Nè ci sentiamo di accettare l'opim jne comune, secondo la quale Edipo, u non è » personalmente colpevole, anzi è uomo retto e pio, il quale fa di tutto per non n commettere il parricidio e l'ineesto; ma egli è, per le colpe del padre, irrevo-n cabilmente destinato a delinquere e dovrà poi sofferire tutte le conseguenze del » suo delitto involontario (3) n ; noi crediamo anzi che l'arte massima del poeta abbia consis .to nel darci tal carattere d'Ec.ipo, che almeno in parte umanamente spiegasse i suoi errori e le conseguenti sventure. L' Edipo sofocleo è impetuoso e rapido corre all'azione senza sufficiente ponderatezza. Schiva bensì Corinto, per evirare il parricidio predettogli dall'oraeolo; ma poi una lieve ingiuria basta a farlo trascendere contro Lajo sconosciuto e tutta la sua scorta. E troppo lesto egl' è pure nel sospettare di Creonte e peggio del santo Tiresia. Egli è buono e giusto;
   (1) Vedi Lessing, Hamburgische Drarnaturgie, st. 77-8; e i nostri Baqgi di critica letteraria, (.Bologna, 1877), p. 86 segg.
   (2) D Ovidio, Saggi critici, p. 274.
   (3) D'Ovidio, ib, '