Stai consultando: 'Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI ', U.A. Canello

   

Pagina (236/343)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (236/343)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   228
   capitolo sesto.
   fcano intorno, sorge naturalmente nel drammaturgo il desiderio e il bisogno di mostrare in ogni singolo atto dell'individuo umano, o in ogni singola serie di atti, il nesso di causa ed effetto; solo allora il drammaturgo, per più chiaramente rivelar questo nesso, cercherà d'isolare l'unica azione anche rispetto al tempo e rispetto allo spazio, così come lo scienziato isola il fenonemo tìsico e morale per poter meglio scrutarlo e spiegarlo. Il dramma, insomma, con unità d'azione così esattamente corrisponde a un concetto razionale della vita, come il dramma senza cotesta unità risponde a un concetto trascendente : e la lotta tra le due forme è la necessaria conseguenza della lotta fra le due idee.
   L'età più florida della sacra rappresentazione, ultima elaborazione della lauda e dell'ufficio drammatico medioevale, è il secolo decimoquinto; e la sua patria prediletta fra noi la guelfa Firenze, la patria del mistico Savonarola. E a Firenze più tardi che altrove essa cedette il posto al dramma di tipo classico; e per tutta la prima metà del secolo decimosesto s'ebbero ancora abbondanti raffazzonamenti di sacre rappresentazioni antiche, e insieme saggi non scarsi di composizioni nuove sul medesimo stampo (1).
   Ma ben presto in Firenze stessa si fecero sentire l'influenze degli spiriti nuovi; e mentre da un lato si ebbero alcuni tentativi di trattare anche soggetti profani col modo libero della sacra rappresentazione (2), si tentò dall'altro di correggere la troppa licenza del teatro religioso e di accostarne le produzioni al tipo del dramma classico. Nè il tentativo si limitava alla forma sola: esso abbracciava anche la materia, che di trascendente si veniva facendo sempre più umana.
   Come rappresentante di questo tentativo può valere Gr. B. Oecchi, fiorentino, vissuto nella seconda metà del secolo (3); il quale ci dà anche un'idea del modo in cui allora si reagì nell'ordine del pensiero allo sbrigliato razionalismo degn umanisti. Del Cecclii abbiamo un 'Esaltazione della Croce, un Acablo, Il Duello della vita attiva e contemplativa, Il Disprezzo dell'amore e beltà terrena e un Atto (ancora inedito) per il capannuccio del santo Natale. Ma per lui la favola spiii-tuale non è che u una prima trama, sulla quale più o men felicemente ordire casi » e affetti profani, mescolando cogli umani i caratteri sacri e tutto sottomettendo » alle norme dell'arte (4) ». Ciò apparisce più chiaro che mai nel Fifjliuolprodigo » deliziosa pittura de'costumi fiorentini, dove di leggendario null'altro è rimasto, » salvo il titolo (5) ». Viceversa poi in alcune commedie egli attinge l'intiera sua trama dalla sacra rappresentazione: come si vede nell 'Ammalata, nella Romanesca, e nei Malandrini, che rispondono alla S. Guglielma, alla S. Uliva e ai Miracoli della Madonna del teatro sacro (6).
   Nò il Cecchi fu il solo che battè questa via: di A. Alamanni abbiamo una commedia su Maria Maddalena (Fir. 1525), di Gruidubaldo Mercati un David,e sconsolato in tragedia (Fir. 1585); di Domenico Lega un'altra tragedia, La Passione (Nap. 1549); c sulla Passione di Cristo sappiamo aver lavorato una tragedia anche Pietro Aretino (7).
   Così anche nella reazione religiosa della seconda metà del secolo non si ritornò più a quella foga per il soprannaturale che era stata propria del teatro sacro ; e le forme classiche, che aveano preso il campo dell'arte, contribuirono ora qualche
   (1) D'Ancona, Origini del teatro in Italia, I, 209,
   (2) D'Ancona. Op. cit., II, 196-7.
   (3) Il Milanesi, nella prefazione alle Commedie inedite (Firenze,Le Monnier, 1856) lo dice nato nel 1518 e morto nel 1587, e sebbene non ne rechi alcuna prova, i suoi dati sembrano molto bene fondati. Sta, infatti, che del 1549 è l'Assiuolo, che non era, come c detto nel prologo, la prima sua opera teatrale; e nel 1582 (D'Ancona, op. cit,, II, 257) fu data la sua Sant'Agnese, nel prologo della quale l'autore è detto già vecchio. Ciò rispetto ai dnbbii del Grraf, Studii dram., p. 163.
   (4) D'Ancona, Op. cit,, II, 258.
   (5) lb., p. 259.
   (6) D'Ancona, 1. c.
   (7) Lettera di P- Aretino al Piccoìomini, in T. A., Vili, 394.