Stai consultando: 'Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI ', U.A. Canello

   

Pagina (202/343)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (202/343)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   194
   capitolo sesto.
   Contra te stessa in man la spada prendi, E, vinca o perda, hai te medesma ucc,sa . . .
   Non per tuo ben col tuo poter s'è vnisto Quel di Carlo e d'Enrico, anzi per loro; Chè tuo fia il danno, e d'un di lor l'acquisto (1).
   Ma se 1' entusiasmo del Varerai sembra alquanto artificiale, e il grido del poeta veneziano riguarda ogni specie d'ingerenza straniera nelle eose italiane; e nè l'uno nè l'altro possono quindi dimostrare il favore che l'idea ghibellina ha incontrato fra noi; la dimostrazione ee n'è data inveee dalle rime del Bembo, di V. Gambara, del Trissino, di B. Daniello e d'altri parecchi.
   Il Bembo, la Gambara, e il Trissino aveano assistito nel 1530 in Bologna all' incoronazione di Carlo V in imperatore romano e re d' Italia ; e il fatto era abbastanza notevole per ispirare solenni pensieri.
   Il Bembo, che già in un sonetto a Clemente VII, in eu. lo spronava a preparar le difese eontro Solimano, avea mostrato l'unità di destino che minacciava u Lamagna, Italia e Roma » (2), si rivolse in un altro assai eelebre al gjiovi™ imperatore, spronandolo alla difesa della religione e della civiltà in Germania, e augurando ehe per opera di lui il seeolo di ferro si tramutasse in secolo d'oro:
   Felice imperador, ch'avanzi gli anni Con la virtude, e rendi a questi giorni L'antico onor di Marte, e 'n pregio il torni, E per noi riposar te stesso affanni;
   Per cui spera saldar tanti suoi danni Poma, e fra più che mai lieti soggiorni Sentir ancor sette suoi colli adorni De' tuoi trionfi e 'l mondo senza inganni;
   Mira 'l settentrion, signor gentile, Voce udirai, che 'infin di là ti chiama, Per farti sovra 'l ciel volando ir chiaro.
   Sì vedrem poi del nostro ferro vile Far sccol d'oro, e viver dolce e caro: Questo fia nostro; tuo 'l pregio e la fama (3).
   Che se il Bembo, nella sua divozione a Carlo V, da buon veneziano, non dimentica la servitù d'Italia, come là dove dice:
   Che vai ornai, se 'l buon popol di Marte Ti lascio del mar donna e de la terra? Se genti a te già serve or ti fan guerra, E pongon man ne le tue chiome sparte !
   Lasso! nè manca de' tuoi figli ancora, Chi, le più strana a te chiamando, inseme La spada sua nel tuo bel corpo adopra (4);
   l'entusiasmo di Ver. Gambara (5) per l'imperatore, sebbene certo più vivo, è temperato dal desiderio di paee e di concordia eon Francia. In un sonetto essa lo paragona e prepone a Cesare Augusto, poiché se quegli ha vinto
   (1) Dom. Venier (P. 1., XII, 2246).
   (2) Son. 97 (P. I., XII, 1172).
   (3) Son. 74 (ib., 1164).
   (4) Son. 108 (ib. 1176).
   (5) Nata a Brescia nel 14S5, e morta a Correggio nel 1549.