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capitolo sesto.
Altri pensava che quel fortunato potesse essere Giulio II. Nella disputa, infatti, chc nell'Olimpo lo Strozzi fa insorgere fra Paliade fautrice degli Spagauoli, e Venere fautrice degli Italiani, prò e contro il Valenl ino, Venere vorrebbe che la gloria di redimore l'Italia spettasse ad un Italiano, a un discendente dal suo Julo, a Giulio II, insomma. E G iulio II parvo a moltissimi l'uomo adatto a cacciare d'Italia i barbari d' ogn colore, e a costituire nel contro materiale e morale del nostro paese un forte regno, capo e baluardo degli alti Lo lodi in latino e in volgare di G.ilio II non furono scarso; e agli ar mosi disogr , che egli s: provò poi di attuare, lo invitò in .specie G. A. Elamn'inio con una bella elegia che finiMe :
Ita li ci est quam tutandam sumis, et in qua Et tua curri nostra Marte tuenda salus (1).
I lamenti de' nostri poec per la ^dipendenza pericolante farebbero presumere maggior di quel che sono in realtà, i lamenti per l'indipendenza perduta: e perduta definitivamente potea d.re dopo le splendide ma inuti 1 i prove di Firenze per resistere alle armi prepotenti dell'impero accordatosi col Papa.
Si dolsero in ispec»,ì i l'iorentini e i Toscani; il Berni, l'Alamanni, e il Gu diccioni.
II Berni deplorò in un sonetto (2) nuovi ordinamenti irann fi di Firenze; e con più vivezza inveì in un altro direttamente contro il duca Alessandro:
Empio signor, che della roba altrui Lieto ti stai godendo e del sudore, Venir ti possa un canchero nel cuore, Che ti porti di paso ai regn bui:
E venir possa un canchero a colui Che di quella città ti fa' signora. . . .
Or tienla col malan che Dio ti dia Quella, e ciò che tu hai di male acquisto . . .
Ma come fii =sco tutto questo sdegno in apparenza sì noi e ?
Che un dì mi renderai la roba mia!
La roba sua, ] iù che Fnenze, per non dire l'Itali ,, preme a questo Bern , del cui valor morale avremo ad occuparci più innani (3).
Nobile, ma non trop o focoso, è nei suoi rimpianti per la patua,, serva e perduta, Lu ji Alamanni. Esule, egli errava per la Provenza e per la Francia settentrionale, in cerca di pace e di soscentamento. Ogni fiume, ogni poggio, ogni scena della vita campestre, gli ricorda il suo Arno, le colline e i piani circostanti :
Quanta invidia ti porto, amica Sena, Vedendo io l'onde tue tranquille e liete . . .
Il mio bell'Arno (ahi ciel, chi ride in terra Per alcun tempo ma tanta ira accolta Qmnt'or sopra di lui sì larga cadeJT)
Il n o bell'Arno in sì dogV ìsa guerra
(1) Carm. poet. ital., IV, 357. Cfr. Roscoe, Vita di Leon X; IV, p. 297.
(2) « Voi che portaste già spada e pugnale ».
(3) Negli ultimi anni di sua vita, egli tentò di spogliare il vecchio Adamo; e nel suo rifacimento dell 'Orlando innamorato vi sono de' nobili sentimenti anche per l'indipendenza italiana. V. il lib. I, XIV e XVII.