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Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

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   CAPITOLO sesto.
   E noi dobbiamo convenire cbc d Bandelle avea ragione di affermare nel proemio di avere scritte le sue novelle « per giovare altrui e dilettare » ; che la tendenza a cavare dal fatto la moralità è in lui talvolta fin troppo evidente.
   Ohe se ai lettori moderni può dare fastidio il modo in cui egli, d'accordo in ciò con gli altri novellieri dell'età sua, parla dell'amore, come di passione puramente sensuale, che precipita, fin dalle prime, alla sua meta, e si esprime senza le perifrasi sentimentali e pudiche dell'età nostra, ciò non può costituire una colpa pel nostro novelliere; ma serve invecc a farci scorgere in lui uno specchio abbastanza fedele delle virtù e dei vizi e quasi della fisiologia morale del tempo.
   Rispetto alla forma, notiamo che ii Bandello , se ne togli qualche esordio delle novelle o anche dei singoli proemi in cui boccacccggia, scrive facile e sciolto: talvolta è scorretto nella frase; tal'altra adotta parole lombarde e francesi; ma egli possiede benissimo l'arte rara di dir tutto ciò che vuole e di dirlo in modo interessante; ed io credo che abbia perfetta ragione il Settembrini, quando lo chiama « il primo novelliere italiano dopo il Boccaccio (1) ».
   Giovambattista Giraldi Cinzio, laico, uomo di corte, professore di belle lettere (2), cominciò a scrivere i suoi Ecatommiti nel 1528, anno memorabile in cui tutta la scettica e lussureggiante Italia restava attonita e qua ri interdetta alla terribile lezione infiitta dai Lanzi del Frundsperg e dai marrani del Borbone alla Roma papale. E dai memorabili fatti romani del 1527 prende motivo il Giraldi per narrare le sue novelle, fingendo che alcuni gentiluomini, sfuggiti all' ingordo furore dei Lanzi e alla peste, si ritirino prima in Fondi, e poi, alla volta di Genova, a Marsilia; e per via s'intrattengano a narrare notevoli fatti.
   Gli Ecatommiti non contengono solo cento novelle, come il titolo farebbe credere; ma ben cento e dodici, giacche fuor del conto l'autore dicci ce ne dà nell'Introduzione e altre due ne soggiunge alla fine della novella decima della decade quinta.
   Trattano di argomenti svariatissimi, pur volgendosi per norma come a perno intorno all'amore: all'amore per le cortigiane, per le fanciulle, per le donne altri^, e tra sposi. Così, ad esempio, nelle dieci novelle della introduzione u si di» mostra che solo, fra gli amori umani, è quiete in quello, il quale è fra marito » e moglie, e che ne' disonesti non può essere riposo » ; e si narra per lo più d'inganni fatti da cortigiane ad amanti o talvolta da amanti a cortigiane; nella decade quinta si narrano illustri esempi di eroica fedeltà coniugale; mentre della infedeltà e de' suoi pericoli e danni s'era ragionato nella decade terza. Notevoli sono poi i racconti della decade seconda, in cui si tocca più dappresso il problema principale della vita privata taliana di questa età: vi si narrano cinque casi in cui l'amore e il matrimonio contro il volere de' parenti, dopo molte peripezie, ha fine felice: e altri cinque in cui malamente finisce. Ma chiaramente si vede che l'autore, pur facendo le debite restrizioni, e disposto a lodar sempre i liberi sforzi di persone chc si convengono per unirsi in stabile matrimonio; e questa sua tendenza egli la esprime per bocca di Fulvia, la quale, u come da pro» fondo pensier tolta: Fu, disse, sempre bone che i figliuoli ubidissero i lor pan dn, c credessero chc gli anni, e la lunga esperienza del mondo facesse lor ve» dere, a beneficio de' figliuoli, quello che essi c per la poca età e per la poca n esperienza non veggono. E come che sia bene in ogni cosa così fare, è egli ot-» timo nelle cose de' matrimonii, come che ciò sia la maggior cosa , chc faccia » l'uomo e la donna in questa vita. Ma pure', quando la gioventù più a questo, » chc a quell'altro modo si appiglia, e non si fa con ciò perdita dell'onore, non » deono però i padri tanto fieri mostrarsi contro le figliuole, che le veglino aver » per nemiche (3) ».
   (1) Op. cit., II, 130.
   (2; Nato a Ferrara verso il 1500 e morto nel 1573.
   (3) Dea seconda, uov. quinta, in principio.