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Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

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a cura di Federico Adamoli

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   178
   capitolo sesto.
   [bat membrorum quaerens frammenta suorum. Certamenter habet prò doja piangere causavi, Sed quae membra sibi doleant nessuna trovatur, Non qui bagnentur pietosis jletibus occhi, Non quae lingua cridet magnis urlatibus oiinè! Non qui cum gemitio tampellent pectora pugni.
   (C. xix, c. 165).
   In conclusione, il Baldus è una spiritosissima satira dello condizioni sociali o religiose del einqueeento esordiente, età tutta infetta aneora, specialmente negli strati inferiori, de' vizi medievali; e, al tempo stesso, è una solenne affermazione dei diritti novelli o rinnovati della ragione, la quale trova, nella soeietà e nella letteratura contemporanea più in voga, il suo più adatto rappresentante nel cavaliere, sostenitore del dritto c del libero pensiero, sempre e dappertutto, in oc1 io alla brutalità delle leggi eaprieeiose loeali. Il Folengo ci si rivela in questo e negli altri suoi romanzi l'ultimo e il più perfetto de' Goliardi.
   Amena ed ingegnosissima caricatura, non tanto de' cavalieri, quanto de' romanzi eavallerosehi, sono i tre libri del Folengo stesso della Moscheide, in eui si narra una guerra tra le moselie alleate eo' tafani ed altri simili insetti e le for-mielic alleate eo' grilli, guerra ebe si chiude colla disfatta completa di Sangui-leone re delle formiche. Ma, più che altro, c un csereizio retorico.
   A simile eoneetto sembrano ispirate la Gigantea, in ottave, del Forabosco, pseudonimo di Girolamo Amclunglii (1546); la Nanm (1518), che si attribuisce al Grazzini, e la Gigantèa chc sicuramente gli appartiene e veniva pubblicata postuma nel 1584. E Si noti ehe in questo seeolo s'ebbe anche una nuova versione della Batracomiomachia, attribuita ad Omero, per opera di L. Dolce, chc la stampava nel 1573, insieme eoi suo Ulisse.
   Un altro travestimento de' romanzi e de' poemi eavalleresehi avea eomme ito l'Aretino, del quale ei resta un primo eanto c poehe ottave d'un soeondo, col titolo capriccioso di Orlandino (1). Se dobbiamo credere all'autore, egl' l'avrebbe eomposto all'improvviso (2); e le molte imperfezioni di lingua e di metro consigliano di prestargli credenza. L'insieme è una buffonata, qua e là abbastanza sudicia o almeno triviale, che fa ridere per un momento, ma stanea presto, e probabilmente ha stancato anche gli amiei dell'Aretino, ehe l'avranno consigliato di smettere.
   Vi s'impara, per esempio, ehe la causa per la quale Gano tradì n Ronci-svalle Orlando ed Olivieri, è stata una spalla di montone arrosto, che quest'ultimo per giuoeo avea laneiato in faeeia al Maganzese, alla mensa di Carlo Magno.
   Comparisce un eampione di Pagania e sfida i Paladini ; ma quest non hanno punto voglia di ariisehiare la pelle. Carlo sì raccomanda ad Orlando, ehe non gli lasci veni.* addosso eotesto d'-ionore; e
   Rispose allora il coraggioso conte: Lasciami andar prima a far un servizio.
   E ehi l'ha visto l'ha visto.
   Ma ceco sottentra Astolfo, il solito vantatore; metterà egli a dovere il Saracino.
   (1) Ne abbiano sottocchio la ristampa fatta dal Romagnoli, 1868, che fa parte della Scelta di Cur. (N. 95).
   (2) Del miser Carlo Imperator scrivo La ladra liistoria, composta improviì>o.
   (c. i.).