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Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

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a cura di Federico Adamoli

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   174
   capitolo iii.
   resiste, e non visto entra nel palagio incantato , eh' è come un grande arsenale della malizia; trova i compagni tramutati ai animali; e coli'aiuto del solito Se-raffo riesce a far prigioniera Gclfora e a consegnarla ai diavoli. Procedono ancora e giungono alle porte dell'Inferno sulle quali sta scritto:
   Ilegia Luciferi dicor, bandita tenetur Chors hic, intrando patet, at uscendo seratur.
   (0. xxiv).
   Arrivano all' Acheronte ; ma Caronte, che è perso dietro quella civetta di Tesi-fone, non vuol tornar in qua colla barca. Fracasso passa il fiume d' un salto , e con una pedata lancia la barchetta ai compagni che attendono sull'altra riva. Apparisce Tesifone, che mette la discordia fra i bravi commilitoni; ma Baldo la persegue e arriva in una sala dove stanno a consesso i senatori d'inferno, preseduti da Megera, che narra dei guasti fatti alla Chiesa, Aletto che vanta le divisioD da le' suscitate fra Guelfi e Ghibellini, c Tesifone chc si gloria invece d'aver messa la discordia tra i Cipadesi diretti alla disfatta d'Averno. Liberati i compagni dal momentaneo furore, Baldo prosegue con loro alla ricerca di cotesto inferno da debellare; trovano prima un antro, che e una u phantasioe domus » e dove
   Undique phantasmea volitant, animique balordi} Somnia, penseri nulla ratione movesti, Sollicitudo, nocens capiti pìiantastica cura, Diversai formai, speciesque et mentis imago. Gabia stultorum dieta est: sibi quisque per illam Beccai cervellum, pescatque per aera moscas. Ibi sunt grammatica poqmli, pedagogaque proles : Argumenta volani dialectica; mille sophistve Adsunt bajance, prò, contra, negoque proboque.
   E, insomma, l'inferno dei teolog e dei filosofi. Usu. di là, entrano condotti da un buffone in una gran zucca, dove stanno i poeti e gl astrologlr , chc a forza di bugie si guadagnano il pane alle corti: sono affidati a dei barbieri che ogni giorno strappano loro tanti denti quante sono le bugie che hanno dette. Merlino sente ehe questo è il luogo fatto apposta per lu poeta; e rivolto al suo eroe gii dice:
   Balde, vale: studio alterius te denique lasso: Cu mea forte dabit tantum Ped^ala favorem Ut te Luciferi ruinantem regna tyranni Dicat et ad mundum san salvumque denique portet.
   E il romanzo è fimto.
   Sotto questa lunga serie di stianezze, delle quan noi abbiamo potuto riferire solo una parte assai modesta, c'è nulla di serio? c'è nessuna intenzione filosofica ?
   A prima vista, dice il De Sanctis, lo scopo di Merlino, come di tutti i romanzieri di quel tempo, è « l'abbandonarsi alla sua sbrigliata immaginazione e accumulare avventure ». Il poeta narra col tuono epico solenne; ma è facile vedervi la caricatura; e u la caricatura non è un semplice sfogo d'immaginazione » comica e buffonesca, come le avventure non sono un semplice stimolo di curio» sità; ci è un'intenzione che penetra in quei fatti, e in quelle forme e se li as-» soggetta, ci è la parodia ». La missione di Baldo « è di purgare la terra dai