Stai consultando: 'Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI ', U.A. Canello

   

Pagina (169/343)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (169/343)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   saggi di epopee sulla natu1ìa.
   161
   cipiis (1542) (1) di Scipione Capace, che si proponeva d'imitare e al tempo stesso confutare Lucrezio.
   Un vivo sentimento della vita della natura spira invece il due poemetti sorti a ¦ 3ca distanza di tempo nella prima metà del secolo: Le api d Giovanni Ru-cellai, e la Siph iis del Fracastoro.
   Giovanni Rucellai scriveva la sua breve epopea (1062 vcrs.) nel 1523-4 (2) a Roma, imitando, dove accadeva, 1 quarto libro delle Georg ehe virgiliane, e aggiungendo qua e là osservazioni suo proprie, tra le quali mer'tano special nota quelle sulla struttura anatomica delle u vergi* ' angclette n che l'autore ha studiato mediante gli specchi concavi. Ma notevole è soprattutto in questa composizione, oltre la peipetua facoltà e leggiadria del verso e della lingua, < ò che il Rucella1' li meramente accenna dello spirito animatore delle api, chc sarebbe lo sp* rito stesso animatore delle cose tutte e dell'uomo. Dopo aver narrato, colla scorta di Virgilio, la prodigiosa e favolosa riproduzione delle api col sangue di toro, il poeta prosegue :
   Da questi segni e da sì belh esemp,
   Hanno creduto alcuni eletti ingegni,
   Che alberghi in lor (nelle api) qualche aiv na parte,
   Che con celeste e sempiterno moto
   Muova il corporeo, e Vincorporeo regga :
   Perciò che la grand'anima del Mondo
   Sta come auriga, e 'n questa cieca mole
   Infusa, muove le stellate sfere,
   L'eterna plaga, e quel, dove si crea
   Il folgore, la pioggia, e la tempesta,
   E la mostruosa macchina del mare
   Su'l grave globo della Madre antica.
   Di qui gli uomini tutti, e gl animali,
   E gl, armenti squaraigeri, e i terrestri,
   Le mansuete bestie, e le selvagge,
   Piccole, e grandi, rettili, ed alate,
   Aver primo principio, aver la mia,
   Avere il moto, l senso, e la ragione,
   E certa provvidenza del futuro:
   A questa ritornar l'anime nostre,
   Ed in questo.\ risolver & ogni moto;
   Per questo, esser celeste ed immortale
   L'anima in tutti i corp dei vhenti,
   E ritornarne al fin nel suo princì,    L'uno alle chiare Stelle e l'altro al Sole.
   Questo sì bello, e sì alto pensiero
   Tu primamente revocasti in luce_
   Come in cospetto d^egli umani ngegni,
   Trissino (3), con tua chiara e viva voce,
   (1) Il Ginguene-Saifì, Hist., X, 203, dice 1546. Noi ci siamo attenuti al dato del Tiraboscùi non avendo potuto av/erare direttamente il fatto.
   '2) L'edizione principe fu fatta nel 1539 da Palla Rucellai, fratello del poeta, morto già nel 1524.
   (3) Li Api sono dedicate al Trissino ; del quale, del resto, non si r,a che professasse sì liberale filosofia Bensì il Rucellai anche altrove nel poemetto diede prova dei suoi sensi liberali. Dopo aver detto del vile fuco, che nell'alveare si pasce e vive delle altrui fatiche, egli prosegue:
   Come la pigra e scellerata setta Ch'empie le tasche e'I seri di pane, e vino, Che qualche semplicetta vedovella
   CAtfEtLO.
   21