le li le GERUSALEMMI.
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E quando Goffredo si dispone a dar l'assalto regolare alla città e distribuisce le parti fra' suoi, e Giovanni sente che tutto si fa dipendere dalla bontà delle macchine guerresche, egli
che già sì caro al grande Augusto Vive or la, quarta età co' duci illustri: Il secolo novel, più del vetusto, Ha (disse) fatti i suoi guerrieri industri . . .
Però mentre fiori di Carlo il regno E l'arte militare in pregio salse, Il mìo signor, che fu d'onor sì degno, Vinse, espugnò, domò quant'egl assalse; Ma più dell'arte e del sottile ingegno, Il verace valor si vide e valse: E risplendean, quasi fulminei lampi, I suoi guerrieri n mille aperii campi.
(xiv, 32-33).
Ma se per conto della favola e dei caratteri la Conquistata ben merita le lodi di cui il Tasso stesso, in odio alla prima Gerusalemme, le era largo (1), essa ha pur indosso tali magagne di stue, che giustificano per buona parte l'abbandono in cui l'hanno lasciata i lettori già dal tempo dell' autore.
Ben pochi sono i luoghi in cui il poeta, mutando, abbia migliorato la dicitura. Ne citiamo tre per saggio, recando di fronte i due testi. Ecco, per primo, la descrizione del cinto di Armida:
Ma bel sovra ogni fregio il cinto mostra Che neppur nuda ha di lasciar costume. Die corpo a cld non l'ebbe, e quando il fece, Tempre mischiò, eh'altrui mescer non lece.
Teneri sdegni, e placide e tranquille Repulse, e cari'vezzi, e liete paci, Sorrise parolette, e dolci stille Di pianto, e sospir tronchi, c molli baci; Fuse tai cose tutte, e poscia mille, Ed al foeo temprò di mille faci; E ne formò quel st mirabil cinto, Di ch'ella aveva il bel fianco succinto.
(Ger. lib., xvi, 24-5).
Ma bel sovra ogni fregio il cinto or mostra Che di lasciar giammai non ha costume: Vario tessuto, e ai sua man dipinto Coli'ago, onde il bel fianco adorno è cinto.
Ivi lusinghe e vezzi a mille a mille Erano fatti, ivi susurri e baci E molli sdegni, e placide e tranquille Ripulse in bel contesto, e care paci. Vera Amore e Desio con sue faville Anzi con vive fiamme e vive faci. V'era il quasi parlar, ch'in dolci modi Fa sovente a' più saggi ingoimi e frodi.
[Ger, Conq., xiii, 26-7).
Qui tutto è migliorato: la frase e l'imagme; e, ove si togliesse la durezza del costrutto nel terzo e quarto verso del x'ifacimento, poco o nulla resterebbe a desiderare ; mentre nel testo primitivo tutto sa d' artificio, come già notava anche il Galilei Ih.
(1) Già nel 15S9 egli scriveva al Costantini di voler ristampare il suo « poema eroico, il quale nella » riforma spero che d^bba esser maravigìioso e perfetto » (Lettere, IV, 235). E nel luglio del 1591 scrive al Cattaneo: « Desidero che la riputazione di questo mio accresciuto ed illustrato e quasi ri» formato poema toglia il credito all'altro » (Lettere, V, 62). E nel Giudizio scriveva: « E stimo d'aver tanto superato me stesso, quanto cedo al principe de' Greci poeti » {Opere, t. XII, p.338; Pisa, Capurro). A questa sua stessa preferenza, e non alla speranza d'aver superato il Furioso, allude il Tasso sul principio della Conquistala dove dice:
E d'angelico suon canora tromba Faccia l'altro tacer clt'or/gi rimbomba.
(i, 3).
(2) Op. cit., 214.