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capitolo iii.
ìì andarvi per provvedere più solleeitamente danari, e le altre eose ehe bisogna-11 vano; ma essendosi divulgato e creduto averlo indotto a questo l'amore d'una n gentildonna milanese, raffreddò molto 1 andata sua (con tutto che presto ri-n tornasse) gli animi de' soldati, e le speranze di quegli chc difendevano la Miv randola (1) e la città fu perduta.
Mentre Luigi XII se la viveva troppo indulgente ad amore eolla moglie giovinetta, le sue eose rovinavano in Italia; ed egli stesso ci rimetteva la vita (i.° gen-najo 1515).
Nel 1526, quando il 23 settembre Cremona si arrese alle armi dei confederati italo-franccsi, se il duca Franeeseo Maria d'Urbino, comandante in capo, avesse spinto innanzi con vigore la guerra, le sorti potevano arridere ai nostri ; e il Frundsperg arrivar troppo tardi con que' lanzi che lasciarono poi sì triste memoria di sè a Roma; ma il duca trovò più piacevole l'andarsene a Mantova a passarvi in riposo tre settimane colla bellissima moglie Leonora Gonzaga. E intanto piovvero le disgrazie (2).
L'eceessiva preoccupazione per la vita privata amorosa è, dunque, la peeea principale degli Italiani di questa età, ehe invece avrebbero avuto bisogno d'essere forti e concordi a combattere le lotte per l'esistenza politica. E in questa eccessiva preoccupazione degli Italiani per l'amore c'è la ragione sufficiente, c'è la spiegazione dell'opportunità dell'insegnamento anosteseo; e c'è anehe la Ìode maggiore del poeta.
u Era il 1494; e il Bojardo seguitava a contessere le sue storie amorose, » quando un bel giorno si sentì ehe i Franecsi venivano con Carlo Vili a go-» derc un po' del nostro bel sole e della nostra tanta eultura. E il Bojardo scrive ìì quell'ultima sua stanza:
Mentre ch'io canto, o Dio Redentore, Vedo l'Italia tutta a fiamma e fioco Per questi Galli, che con gran valore Vengon per disertar non so che loco.
sì E la morte benigna lo sopraceoglie, senza lasciargi. vedere lo strazio c Italia.
ìì Fosse anehe vissuto più a lungo, io eredo ehe non avrebbe continuato il ro-
n manzo. I tempi l'avrebbero fatto saggio; egli avrebbe capito la fallaeia della
ìì sua eoncezion della vita.
u L'Italia Gulta e gentile, folleggiarle d'amore pseudo-ciassieo e romanze» seo, soccombette all'invasione straniera; e dai Francesi e dagli Spagnuoli, pa-ìì droni sgraditi e inattesi, potè allora imparare chc non basta essere civili ; che ìì oceorre anche essere forti, per difendere al easo la propria eiviltà contro chiun-ìì que venga a disturbarne il regolare svolgimento.
n Ed c appunto dopo questa dura lezione che sorge l'Aiiosto e riprende a
ìì cantare d'Orlando. E se egli avesse eont ìuato a eantarne senza nulla immu-
n tare sia nella materia chc nello spirito ; s'egli si fosse eontcntato di eompiere
>ì la gran tela lasciata a mezzo dal Bojardo, ben si potrebbe dire che l'Ariosto,
ìì eon tutta la sua finezza artistica, eon tutta la sua semplice eleganza di stile,
» eon quelle sue stanze che sembrano fatte allo stampo, resterebbe pur sempre
ìì un poeta mediocrissimo. Ma di fare o tentar questo s. potea contentare un Ago-
ìì stini qualunque; non l'Ariosto. Egli non solo si propone, come diee il Rajna (3),
ìì di accostare il romanzo al tipo dell'epopea antica; non solo ci rivela maggior
ìì devozione alla poesia elassiea eon quel suo quasi plagiare Ovidio, Stazio; M
ìì gilio, mentre il Bojardo, se pur attinge a fonti classiche, ne trasforma la ma-
(1) Guicciardini, op. cit., IX, 4 (II, 300). .
(2) Vedi: De Leva, Storia di Carlo V, II, 381; e il voi. IV delle Opere inedite del Guicciardini.
(3) Op. cit., p. 34.