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Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo iii.
   disturbare il duello, Ruggero si sente sciolto alfine da ogni obbligo verso di lui: un buon romito lo battezza; c Rinaldo gli promette solennemente la sorella.
   Così sono vinte anehe le difficoltà d'ordine politico; ma insorgono ora le difficoltà famigliari. Il vecchio duca Ainone c Beatrice non vogliono concedere la loro figlia al primo arrivato, c che nulla possiede ; c poi essi hanno già impegnato la loro parola con Leone, figlio dell'imperatrice d'Oriente. Ma anche quest: nuovi ostacoli sono superati mercè la costanza e la fortezza di Bradamante e l'abnegazione di Ruggero, al quale i Serbi vengono ad offrire la corona regalo; e così tutte le ambizioni sono contonte, sono tolte tutte le difficoltà; c i due giovani ; . sposano alla corte di Carlo Magno.
   Questo romanzo di Ruggero e Bradamante pare a noi molto meglio riuscito che non il poema, a cui esso è collegato : c qui si vede come l'Ariosto intendesse più gli affott' e le vicende della vita privata chc non quelli della vita pubblica.
   Nel Furioso e' c il Don Chisciotte.
   E questa la parte men vera della sentenza voltcriana; ma pur in essa una parte di vero non manca. Fu detto e ripetuto da critici di vaglia chc l'Ariosto intendesse di ridersi nel Furioso del valore e della cortesia de'cavalieri; c chc egli appunto mirasse, come poi fece il Cervantes, a seppellire sotto il ridicolo l'ideale della vita cavalleresca.
   Il Rajna ha luminosamente mostrato chc il Furioso, specialmente se lo si raffronti all'Innamorato, rivela un'intonazione serissima nel fondo, c che talvolta ha perfino del tragico. Serio, infatti, c severo c il concetto fondamentale del poema, quale noi l'abbiamo mostrato. Solenne e grave è la figura dell'imperatore, eh' c rappresentato quas> come un intermediario tra i Cristiani e il ciclo sempre pronto a soccorrerlo. Serio e tragico nella sua dissennatezza apparisce qui quell'Orlando, che guercio e ingenuo e goffo era nel Bojardo una delle più ridicole imaginazioni della nostra poesia cavalleresca. E la serietà non è solo nell'azion principale, ma ben anehe negli cpisodii : ricordiamo Fiordiligi, Isabella ed Olimpia.
   Ben lungi l'Ariosto dal prendere in riso la cavalleria e i suoi ideali, egli 1 i si mostra all'incontro tutto favorevole. Si ricordi ch'egli fa gittare in fondo al mare l'archibugio, rovina della cavalleria; c che in fondo al pozzo egli fa gittare a Rinaldo lo scudo incantato. Si ricordino infine le parole di Astolfo al buon eremita che lo consigliava di lasciare la via la quale conduceva agli inganni di Caligo-rante. « Io, dice Astolfo, quando si tratta di acquistarmi onore non bado a perigli » ;
   Fuggendo, posso con disnor salvarmi, Ma tal salute più che morte schivo, tS'io vi vo, al peggio che potrà incontrarmi, Fra molti resterò di vita privo ; Ma quando Dio così mi drizzi l armi, Che colui morto, ed io rimanga vivo, Sicura a mille renderò la via ; Sì che l'util maggior che'l danno fia.
   Metto all'incontro la morte d'un solo Alla salute di gente infinita.
   (xv, 47-8).
   La cavalleria che ragiona cosi non può certo parere ridicola; nè può essere sospettato di averla voluto seppellire sotto il ridicolo chi in tal guisa la fa ragionare (1).
   E certo tuttavia che anche l'elemento donchisciottesco fa capolino qua e là nel poema dell'Ariosto : gli episodii d'intonazione addirittura burlesca non man-
   ti) Cfr. Riijna, p. 224, e 316-7.