LA VITA DI TORQUATO TASSO.
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n molte lettere: fra l'altre, questa. E . . ci venne curiosità di aprirle tutte; tanto n le cose sue piacciono anche nella pazzia. Vostra signoria abbi pazienzia c com» passione a questo poverello, che dal dir bene (intendi: scrivere elegante) in n fuora, non sa nel resto che dica o voglia . . 0 che compassione se li deve avere!
» . . Aggiungo qui che a questo sfortunato si darebbe ricetto da ogni persona » privata, non che da'signori, e nelle case loro e ne'cuori; ma i suoi umori lo n fanno diffidare di ognuno. In casa del cardinale Scipione Gonzaga sono stanze iì e letti chc si tengano sempre per lui, et huomini destinati al suo servizio solo; 11 ma lui fugge, e difida anche di quel signore. In somma, è grande infelicità di » questa età, che sia priva del tutto del maggiore ingegno che abbiati prodotto ii molte delle passate. Qual savio parlò mai nò in prosa nè in rime meglio di a questo pazzo'? (1) n.
A Roma e a Napoli egli crede sempre d'essere ammaliato, teme che i mali spiriti gli sticno intorno per sedurlo (2); e contro le malie pare gli premesse tanto un pezzo d'alicorno ch'egli chiede al Grillo (3).
Debole e cadente, egli è pieno di capricci infantili. E a Roma, tanto povero che. non ha vesti decenti per uscire di casa, e chiede agli amie il favore d'una tazza d'argento (4).
Si sente ormai inetto alle funzioni matrimoniali (5); e ne prende argomento per desiderare una prelatura e un posto alla corte romana; ma poi chiede anche in dono un anello che gli servirà nel caso si risolvesse a prender moglie (6).
Sfinito di corpo e di mente, il povero poeta s trascina di città in città, di corte in corte, oggetto di pietà insieme e di fastidio per quanti vorrebbero gio-vargl e non ne trovano il modo. Chieditorc perpetuo, e perpetuo lamentatore, egli attende quasi al varco ogni occasione per far sentire la laudatrice e poi querula sua voce.
E premii ed onori, egli, il sacro cantore di Goffredo, attendeva in ispecie dai papi; ma Sisto V non avea voluto nemmeno vederlo; e Urbano VII, Gregorio XIV, e Innocenzo IX tennero troppo poco la tiara per potersi occupare del povero pazzo-savio. Eu eletto alfine l'Aldobrandini (20 genn. 1592), col nome di Clemente Vili, il futuro diseredatore di casa Estense ; e i nipoti del neoeletto, Cinzio in specie, si mostrarono larghi coli'illustre infermo d'ogni sorta di favori.
Anche a Napoli parve che alfine prendesse buona piega una vecchia lite ch'egli avea promossa per riavere almeno i beni dotali della madre, usurpati dai parenti; e, quas a compensare il travagliato di tante miserie, i nuovi suoi Mecenati romani deliberarono di solennemente coronarlo in Campidoglio : onore elicgli era stato fatto sperare anche a Firenze fin dal giugno del 1590 (7).
S'era al principio del 1595, e già cominciavano i preparativi, ma il Tasso si sentiva mancare. Tirò innanzi alla meglio sino all'aprile; e agli estremi ,i trascinò fino a S. Onofrio per morire in luogo sacro e tranquillo, tra frati pietosi.
Di qui egli scusse quella bella, superba e dolorosa lettera ad Antonio Costantini, l'amico più fido e intelligente che lo soccorresse dal tempo della sua liberazione in poi: u Che dirà il mio signor Antonio, quando udirà la morte del ii suo Tasso ? E per mio avviso non tarderà molto la novella ; perch' io mi sento n al fine de la mia vita, non essendosi potuto trovar mai rimedio a questa mia ii fastidiosa indisposizione, sopravvenuta a le molte altre mie solite, quatd rapido a torrente, dal quale, senza potere avere alcun ritegno, vedo chiaramente esser
(1) Lettere, IV, 146-7.
(2) Lettere' IV, 127; e cfr. V, 45,
(3) Lettere, IV, 39.
(4) Lettere, IV, 246-7.
(5) Lettere, IV, 177.
(6) Lettere, V, 146.
(7) Lettere, IV, 320