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CAPITOLO III.
mente (1). Che se i lavori da lui compiuti durante la prigionia attestano un'intelligenza sana e robusta, ciò nulla prova, di fronte a molti luoghi delle lettere, dove espressamente si confessano fenomeni di allucinazione mentale e di pazzia. Egli crede d'essere perseguitato da un diavolo, che gli ruba sotto gli occhi le cose preziose (2); egli sente strani romori ali intorno'e nel suo cervello-, egli crede di vedersi apparire la Vergine... (3); egli confessa di continuo che il suo male è la frenesia. Aveva terribili accessi d'ira in cui imprecava a tutti e tutti offendeva, non essendo più padrone di sè; e ricadeva poi spossato in lunghe ore di melanconia e di disperazione (4).
Un uomo in sì fatte condizioni non si può lasciar libero a sè stesso : la custodia è necessaria. Ciò che dunque offende la fama del duca è che codesta custodia fosse consigliata dal dispetto, anziché dall'amore. Ma se il vangelo dice di porgere la guancia sinistra a chi vi ha schiaffeggiata la destra, quanti poi degli accusatori di Alfonso II vorrebbero seguire questa massima cristiana? La prova più sicura che Alfonso non si condusse col Tasso in quel modo che si pensa da più, sta nel fatto clie il Tasso stesso desiderò, e durante il carcere e poi, di riacquistarne la grazia; e allora e poi ne parlò, quasi sempre, come d u amico e fratello ».
Nè uscito di S. Anna fu il Tasso meno pazzo o meno infelice. Egli avea dentro il petto il demone tormentatore. Anche fuori dell'ospitale, egli continuava ad essere malato e frenetico. Da Mantova, suo primo rifugio, egl scrive il primo d'ottobre del 1587: u Io son poco sano, e tanto maninconico, chc sono riputato ìì matto da gli altri e da me stesso, quando, non potendo tener celati tanti pen-» sieri noiosi, e tante inquietudini e sollecitudini d'animo infermo e perturbato » io prorompo in lunghissimi soliloquii... Ho bisogno di veratro, o d'altro sì fatto' » medicamento che risani il corpo ripieno di cattivi umori, e purghi lo stomaco, » dal quale ascendono al cervello alcuni vapori che perturbano d discorso e la ìì ragione (5) ».
A Roma, dove si è recato, stanco della vita d:. Mantova e scontento del suo liberatore Vincenzo Gonzaga, gli par d'essere tanto tormentato dai nemici e dalla fortuna, che pensa al suicidio, dal quale lo trattiene scio la idea religiosa (6).
A Napoli, dove pur tutti gli fanno festa e oneste accoglienze, egli è sconsolato e malato più di prima; e nel settembre del 1588 scrive ad un Giovann'Antonio Pisano medico: u Io sono infermo, come sa; e dee saper forse che son etico, » benché io non ne sia certo; perchè attribuisco ad altra cagione questa mia » stanchezza e questo colore non naturale. Ma non è questa la sola infermità, » perchè la melancolia ò grande in guisa, eh' io comincio a smaniare » (7). E in casa del Manso crede fermamente di vedersi apparire uno spirito buono e di conversare con lui (8).
E questa dell'esser pazzo non era una sua fissazione soltanto: quanti lo conoscevano, lo reputavano tanto o quanto malfermo di cervello.
Graz; >so Graziosi, agente in Roma del duca d'Urbino, ncll'accompagnare a Giulio Veterano una lettera del Tasso, gli scrive (22 luglio 1589):
» Il povero Tasso, ieri doppo aver magnato in casa mia, si pose a scrivere
(1) Vedi: Settembrini, Lezioni di Letteratura italiana, Napoli, 1877, voi. II, p. 240 segg., e F. D'Ovidio, Saggi, p. 23(3 segg. — 11 Oecchi ammette solo che il Tasso in S. Anna andasse soggetto a certe fissazioni (op. cit., p. 468); ma concede poi (curiosa abbastanza!) che più tardi, uscito di S. Anna, fosse affetto da « vera e propria frenesia » (op. cit., p. 477).
(2) Lettere, II, 460, 468, 477.
(3) Lettere, II, 480.
(4) Lettere, li, 593.
(5) Lettere, III, 261-3.
(6) Lettere, IV, 17.
(7) Lettere, IV, 110.
(8) Op. cit., p. 147 (Parte I. n. 80).