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Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO III.
   ìi passata fortuna, dove ora sì sente straniero, i bisbigli de'cortigiani, le occhiate » insultanti de'suoi avversarii, la gioja maligna chc si manifesta su quelle facce, n 1 duca e il cardinale suo fratello che gli ricusano un'udienza, le principesse » sue protettrici che lo mettono alla porta... Ah è troppo! Non pertanto arriva n ancora a contenersi. Egli fa parlare e scrivere al duca. Che quell'uomo di ferro » si muova a pietà! che gli renda almeno i suoi cari manoscritti! Nessuna ri-n sposta! Allora non sente più freno: il suo furore scoppia in un torrente d'in» vettive; egli maledice gli Estensi, maledice tutti i principi e le principesse che v avea lodate ne'suo' versi, e chiama su quegli ingrati, su que' perversi, la ven-» detta del cielo . . . (1) ».
   Ma e il duca non era uomo anche lui? Egli festeggiava malinconiche nozze, ultimo tentativo, cui poco o nulla arrideva la speranza, di procurare un erede alla sua nobile casa, cui gl'invidi pontefici da un pezzo minacciavano l'estrema rovina. E fra la gioja forzata, fra i pensieri malinconici di queste feste, ecco pararglisi innanzi il Tasso, il folle, il melanconico, l'incontentabile, il sospettoso Tasso, ch'egli ha già amato e protetto e favorito secondo il poter suo; e del quale ormai era lieto d'essersi liberato: ecco parargiisi innanzi il Tasso, che più non supplica o ammette d'esser degno di purga; ma sì lascia andare ad insolenze assai gravi contro di lui, contro il cardinale, contro le principesse, e, peggio, contro il granduca di Toscana, cui ora deve molti riguardi: che cosa mai doveva o poteva egli fare? Poiché l'allontanamento non era bastato, egli lo fa rinchiuderò tra i malati di S. Anna. « Dir che il duca col metterlo in S. Anna volesse sem-n plieemente incarcerarlo e punirlo; è .. . una calunnia verso il duca; dir che » volesse semplicemente farlo curare per rivedersi un bel giorno perfettamente » lieto e guarito il suo caro Tasso, è un'ingenuità bella c buona. 11 duca se lo » volle soprattutto levar di torno, perchè ormai gli seccava troppo: se è un tr'sto, » egli pensò, sia punito; se è pazzo, sia curato; se è l'uno e l'altro, sia punito » con la cura e anche un po' curato colla punizione (2) » !
   Così va per lo più in questo basso mondo, dove tutti abbiamo o crediamo d'aver ragione; ed usando od eccedendo nell'uso d'un nostro reale diritto, ci attiriamo inconscii sul capo la sventura. Ecco il Tasso a S. Anna; ceco Alfonso II alla berlina della posterità! Compiangiamo pure il primo; ma facciamo anche giustizia al secondo, ed alleviamo il peso della sua colpa, ricordando quanta parte il Tasso stesso avesse nel fabbricarsi la propria sventura.
   Chiuso in S. Anna verso la metà del marzo, egli si trovò sensibilmente turbato nella sua mente. Si domandava qual fosse veramente la causa dell'imprigionamento; non capiva .n ispecie perchè lo avessero messo a S. Anna; e l'antica idea fissa rinacque in lui, che lo si volesse processare o punire per eresia.
   Preziosa, benché ancora insufficiente a darci una giusta idea delle sue condizioni intellettuali in questo tempo, è una specie di confessione intima ch'egli mandava a Scipione Gonzaga. Qui egli ammette d'aver peccato con parole leggiere contro l principe, pronunciate sotto l'impulso dell'ira; e più d'aver peccato da giov; ìe, sia componendo versi troppo lascivi, sia seguitando le dottrine de'filosofi antichi intorno alla esistenza e natura di Dio e dell'anima umana. In uno slancio di devozione re, gicsa, egli, rivolgendosi a quel Dio a cui ora è pienamente tornato, esclama: u Andava io pensando di Te non altramente di quel » che solessi talvolta pensare a l'idee di Platone e agli atomi di Democrito, » a la mente di Anassagora... a la matoria prima d'Aristotile... o ad altre sì fatte » cose de'filosofi; le quali, ! più delle volte, sono più tosto fattura de la loro » imaginazione, che opera de le sue mani, o di quelle de la natura sua ministra. » Non è meraviglia, dunque, s'io ti conosceva solo come una certa cagione
   (1) Cherbulie/, citato dal D'Ovidio, Saggi, p, 222-3.
   (?) D'Ovidio, Saggi, p. 237.