Stai consultando: 'Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI ', U.A. Canello

   

Pagina (96/343)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (96/343)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   88
   CAPITOLO III.
   allora al Tasso di scrivere a lui o alle principesse. 11 poeta si tenne perduto ; e fuggì (20 luglio).
   Di qui innanzi la vita del Tasso consta d'una serie di dolori e di sventure, che, come hanno affaticato e consunto alla fine la sua esistenza, affaticano e consumano fin la nostra pietà. Narrare per disteso questi dolori e queste sventure non c cosa che importi di molto allo scopo nostro; nè poi ci parrebbe possibile, come abbiamo tentato di narrare la storia intima di lui sano e prosperante, addentrarci nei segreti di questo spirito sconvolto , agitantesi in un organismo già mezzo cadente. La seconda parte della vita del Tasso spetta piuttosto alla nosologia storica, che non alla storia letteraria. E noi ne accenneremo i momenti principali, affrettandoci alla conclusione.
   Un pensiero idillico lo persegue nella sua frenesia religiosa, nel suo timore perpetuo di essere perseguitato da tutti: il pensiero della pace oscura d'una mediocre famiglia; la reminiscenza di Erminia fra i pastori. Ed ecco il Tasso, che s'immagina la polizia di Filippo lì tutta intenta ad agguantare l'antico infante bandito, travestirsi da pastore, e sotto spoglie mentite mettere a dura prova l'affetto della sorella Cornelia.
   E tra le carezze di lei e dei quattro nipoti pare ch'egli possa aver roqv..e. Ma ben presto nasce in lui una potente reazione: quella vita di famiglia gl pare inconcludente, gli pare indegna di lui. Egli è avvezzo a ben altro; ed ora che ha perduto i beni della vita cortigiana, la sua fantasia è tutta intenta a rappresentarglieli sotto 1' aspetto migliore. Non invano s, passano gli anni più belli della vita in una città, in un dato ambiente morale, che diventa come l'atmosfera che un individuo è avvezzo a respirare.
   E per il Tasso c'era ancora di più. Egli è figlio del suo tempo: egli ha sommo rispetto per il suo signore, per chi l'ha protetto e nutrito; e al rispetto s'unisce in lui u la carità », un senso di devozione affettuosa, che può ecclissarsi per un momento, mai mancare del tutto. Questa u carità di signore », di cui così spesso ci parla il Tasso esulante da Ferrara, e che egli arriva a preporre anche alla carità del loco nativo, alla « carità di patria » (1), è un sentimento specifico di questa età, sentimento importatoci per buona parte di Spagna, coi costumi dcl-Yhidalgo, e sorto in parte per naturale effetto della nuova condizione, assodata e più alta, che il principe veniva acquistando non solo rispetto ai sudditi, ina anche rispetto ai proprii confidenti e ministri. Se, infatti, il principe del principio del secolo XVI è per lo più un nuovo arrivato, le cui origini e la cui legittimità si possono discutere, ed oggi è, domani è sparito; il principe della seconda metà del secolo è indiscutibile, regna e governa più che mai per la grazia di Dio, cerca di arieggiare il suo grande patrono di Spagna o di 'rancia, c sa inspirare o il terrore o l'affetto e la devozione cieca.
   E il bisogno della vita splendida a cui ormai era avvezzo, e la carità di signore, c l'abitudine di contemplare la bella persona delle principesse, respingevano adunque il poeta invincibilmente verso Ferrara. Perciò egli scrive al duca, scrive alle principesse: la sola Leonora gli risponde, e gli fa vedere le difficoltà del ritorno. Ma egli non s sgomenta: va a Roma, dall'orator ferrarese, si mette nelle sue mani e fa nuove istanze per essere perdonato e riammesso a corte. Allora il duca scrive ai suoi agenti a Roma: u Quanto al particolare del Tasso, di che voi » scrivete, vogliamo che ambedue (il Grualengo e il Masetto) gli diciate liberamente » che se esso è in pernierò di tornar qua a noi, ci contenteremo di ripigliarlo, ma » bisogna prima ci 3gli riconosca che è pieno d'umore melanconico, e quei suoi » sospetti di odii e di persecuzioni . .. non provengono da altra ragione che dal » detto umore ... E perciò egli risolva ben prima, se vuole venire, di dovere on-
   (1) Lettere. V, 36.