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Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

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a cura di Federico Adamoli

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   LA VITA DI TORQUATO TASSO.
   87
   trasferito a Roma, dove l'Inquisizione l'avea fatto decapitare ed ardere insieme con un francescano bellunese nell'aprile del 1567 (T).
   Nè al giovine Tasso, pur immerso fra gli studii e le distrazioni dì Venezia e di Padova nel 1561 e 1562, può non essere arrivata l'eco dolorosa clic dal mezzogiorno mandavano all'Italia i miseri Valdesi, quegli operosi contadini, che fino dal secolo XIV s'erano rifugiati dalle Alpi nell'estrema Calabria, e sospettati ora di professare le dottrine stesse degli eretici d'Alemagna, venivano cercati, scovati, sgozzati come fiere dai feroci esecutori degli ordini del viceré di Napoli. Ben duemila di loro furono scannati in soli undici giorni, dopo di che il loro capo Pasquale era tratto ad ardere in Roma (2).
   Tutte queste lugubri memorie dovettero rifarsi ben vive alla mente del T asso ora ch'egli poteva temere qualche cosa di simile per sè stesso.
   Nel gennajo, volendo prevenire le accuse, egli s. reca a beila posta a Bologna (3), donde il S. Uffizio lo rimanda colla dichiarazione benigna ch'egli sia affetto piuttosto da umor mclanconieo che non da eresia. Le cure del duca e delle principesse per liberarlo da questa fantasia sono vane; invano egli procura di rinforzare la propria fede ripigliando l'uso frequente dei sacramenti e della preghiera. Quell'idea era lì, fissa, colle conseguenti paure.
   Una sera (17 giugno) nelle sale della duchessa d' Urbino, mentre s'accalora nel discorrere di questa sua fissazione (4) , s' accorge d'un servo, che pare stia origliando; egli afferra un coltello e glielo tira. Lo sgomento è grande: s'incomincia a proferire la parola: è. pazzo ! che i cortigiani ripetono con un misto di gioja e di compassione.
   Il duca si contentò di farlo ritenere per poco in un camerino di corte. Ma, preso poi. da vhja pietà per il povero poeta, vittima di questa disgraziata allucinazione, se lo piglia con sè e se lo conduce a Belriguardo, sperando chc i divertimenti e l'aria libera lo debbano guarire.
   Ma il Tasso ha la sua fissazione; vuol essere rilasciato, vuol tornarsene a Ferrara a fare le sue pratiche religiose, a purgare lo spirito. — E il duca con molta longanimità scrive ai suoi che raccolgano il Tasso, se pur lo desidera, nelle solite stanze di corte; o, quando altrimenti preferisse, gli procurassero alloggio dai frati di S. Francesco.
   Torquato preferisce il convento, e quei frati ci prestano a purgargli lo spir o e il corpo; ma egli crede che i purganti siano veleno; domanda il processo, e crede non vogliano istruirglielo per non dovere svelare i nomi degli accusatori ; vuol ricorrere a Roma; e quando teme che gli si voglia fare il processo sul serio, si raccomanda al duca perchè lo salvi dalle pene che ne teme (5).
   E in questo frattempo tempesta in ispecie il duca con lettere tutte piene de' suoi assurdi sospetti; e tra l'altre gli scrive: u Confesso d'esser degno di pena n per miei falli e ringrazio Vostra Altezza che me ne assolve; confesso d'esser n degno di purga per il mio umor malinconico, e ringrazio Vostra Altezza che mi n fa purgare: ma son sicuro che in molte cose io non sono umorista e che è Vostra Altezza (perdoni, la supplico, questa parola) quanto possa esser principe del n mondo . . . Ben conosco che l'aver sospettato di Vostra Altezza, e l'aver de' miei ii sospetti parlato pubblicamente, è pazzia degna di purga. Ma nell'altre cose, eie-a mentissimo principe, mi creda per le viscere di Cristo, che crederà la verità ; che non tanto io sono il folle, quanto Ella è l'ingannato (6) n.
   Al duca parve d'aver dato anche troppe prove della sua tolleranza; e vietò
   (1) Cantù, Storia deg'lul., Ili, 481.
   (2) Cantù, Stor. degVIttl., III, 547.
   (3) Sei-assi, I, 276.
   (4) Lettere, I, 258.
   (5) Lettere, I, 261,
   (6) Lettere, I, 258-9.