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Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO III.
   fonso clic Torquato, in luogo di serbargli gratitudine peri favori goduti, gli covava qualche rancore per quelli che disperava di averne in futuro, e minacciava forse di andarsene col suo poema e le lodi degli Estensi non pubblicate.
   Tornato a Ferrara, attraversando Firenze, verso la metà del gennajo (157G), egli si viene destreggiando alla meglio, dandosi l'aria indifferente, mescolandosi iu più amoretti con Eleonora Sanvitale e Barbara Sala ed altre ancora; e cercando occasione di poter degnamente lasciare la corte che per tanto tempo l'aveva ospitato. Era morto (4 novembre) il Pigna, storiografo e segretario di Alfonso ; e il Tasso, colla speranza di avere un rifiuto, chiede quel posto chc il duca, tanto per togliergli quel pretesto che sapeva cercato, gli concede, pur non credendolo troppo confacente alle forze del poeta.
   Intanto i cortigiani, sapendo o sperando d'ingraziarsi l'offeso duca, moltiplicano i loro colpi. Uno di loro, certo Maddalò, mentre il poeta passava la Pasqua a Modena, entra nelle sue stanze a Ferrara, e mediante chiave falsa ne spia tutto il carteggio. Qualche tempo dopo, reduce a Ferrara, Torquato se n'accorge e ammonisce severamente l'ingannatore ; e avutane una smentita, la vendica con uno schiaffo. Il Maddalò lo soffre in pace per il momento; ma poi, unitosi co' proprii fratelli, assale proditoriamente il poeta in una pubblica via; e poi, per cansar la giustizia, se ne fugge. Si seppe di poi che s'era ricoverato a Firenze, e presso l'ambasciatore di Ferrara; e non vedendo che il duca o i suoi ministri si dessero troppa fretta per averlo nelle mani, il Tasso se ne dolse assai, benché lasciasse volentieri che l'affare cadesse da sè, per non stuzzicar troppo il gran vespajo, a lui nemico, di corte (1).
   Ma intanto il nuovo accidente aveva esaltata la già fervida fantasia del poeta, che ora temette d'avere veramente congiurati a' proprii danni non solo i cortigiani ma il duca stesso. E temeva poi, conscio delle sue scappate giovanili, e di ardite parole pubblicamente profferite in argomento religioso, che qualcuno de' suoi nemici non lo accusasse alla santa Inquisizione; e questo timore, il più forte di tutti, una volta entratogli in capo, non lo lascia più; e lo fa dubitare degli amici migliori, in ispecie de' servi.
   I germi di questo pauroso pensiero erano in lui già da tempo; ed ora all'occasione opportuna germogliavano improvvisi e gli avvolgevano l'animo tutto. Grià da ragazzino egli avea dovuto più volte tornar col pensiero alla causa prima onde erano provenute tutte le traversie del padre : al tentativo cioè che avea fatto il viceré Pietro di Toledo d'introdurre a Napoli la Santa Inquisizione col rigoroso e misterioso procedimento di Spagna. Vi s'era opposto il popolo tumultuando; e il principe di Sanseverino, ottemperando anche ai consigli di Bernardo Tasso, avea assunto il pericoloso e fatale incarico di farne rimostranze all' imperatore il quale era segretamente d'accordo col viceré: onde la rovina del Sanse-verino e del Tasso.
   Delle scure e rigorose opere dell'Inquisizione dovè sentir narrare di nuovo il Tasso giovinetto durante i primi tempi del pontificato del fiero Paolo IV, quando col padre egli per quaui tre anni se ne stette a Roma (1554-1557); e volle poi la ventura ch'egli ritornasse per qualche mese nell'eterna città tra la fine del 1571 e il principio del 1572, pontificante Pio Y, non men noto per il santo suo zelo contro i seguaci della mezza luna, che per il suo furore contro i disturbatoli dell'unità religiosa cattolica. E allora a Roma era fresca la memoria del rogo e della corda che aveano finito Aonio Paleario (Antonio della Paglia), egregio poeta latino e celebre erudito, che così scontava, dopo quattro anni di carcere, la libertà di professare qualche opinione eterodossa. Nè spenta poteva esservi ancora la memoria del misero caso di monsignor Carncsecchi, già segreterio di Clemente VII e poi confidente di Cosimo I; il quale, arrestato alla corte del granduca di Firenze, era stato
   (1) Vedi in ispecie il Serassi, I, 305 seg.