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CAPITOLO III.
Parve per un istante clie gli avvenimenti lo dovessero richiamare a vita c a pensieri più gravi. Nel 1569 gli moriva il padre; e molti tristi pensieri traversarono l'anima del giovane e felice poeta, nel chiudere gli occhi di quel travagliato, ehe non possedeva tanto da potersi medicare, e non lasciava di che elevarsi una tomba. — Nell'anno seguente egli era invitato dal cardinal Luigi a seguirlo in Francia, dove lo chiamavano affari pubblici e privati; e così il Tasso era costretto ad allargare lo sguardo, quasi morbido ormai, dalla stretta corte di Ferrara e dalle proprie fantasie poetiche, per figgerlo acuto sulle condizioni di un infelice paese, travagliato da discordie principesche, regionali e religiose,
Ma il Tasso non era uomo che la dura e vera realtà potesse molto istruire. Alla morte del padre, egli rimpiange specialmente di non potergli erigere un monumento: la vita di hi- non gli insegna nulla; egli pensa solo alla gloria ed ai suoi documenti. Attraversando la Francia, frequentando la corte del giovine Carlo IX e di Caterina do' Medici, egli non fa che speculare, in via generale, sulle condizioni corografiche e meteorologiche di quel paese confrontato col nostro; sulla necessaria connessione tra i climi e i caratteri degli abitanti; ma nulla sa intendere della questione e dei bisogni del momento; e da quel fervente cattolico ehe avevano tentato di formarne i Gesuiti, e da quel credente fantastico ch'egli si veniva facendo nel poetare di Goffredo, duce unico delle forze cristiane contro gl'infedeli, si scandolezzava di sentire chc a corte si trattasse di tollerare gli Ugonotr e di venire a patti col re di Navarra; e, imprudente, esprime con calore la sua disapprovazione: eosì che il cardinale Luigi, chc avea ben altra conoscenza del mondo, si trova costretto a farlo tacere, e a procurar poi che se ne torni al più presto in Italia.
In Italia, Roma per un momento fortemente l'attrasse: fors'anche per ciò che il suo viaggio di Francia, e già la morte del padre avessero ravvivato in lui quel senso e quell' ardor religioso che tra gli studenti patavini e tra i cortigiani di Ferrara s' erano venuti obliterando. E a Roma egli si roò , reduce di Francia, nel dicembre di quell'anno stesso 1571; e vi fu ben accolto dal vecchio cardinal d'Este Ippolito II, dall'Albano bergamasco, e potè baciare il piede glorioso di Pio V, che festeggiava allora la vittoria di Lepanto. E non era egli il cantore della santa impresa, ehe ora, per impulso in ispecie del pontefice, mentre la patria di Goffredo s'insanguinava in lotte fraterne, si era rinnovata contro l'eterno nemico ?
Ma, in fondo all'animo, Torquato ha più viva simpatia per Erminia, Clorinda ed Armida, ehe non per Goffredo e Tancredi; e benché con questi lo voglia il pensiero, a quelle invincibilmente ormai lo trasporta il suo cuore. Egli s'è troppo compiaciuto, egli non troppo forte, degli ozii deliziosi ove Rinaldo s'era spossato, immemore del suo compito fatale. Ed ecco che, col favore in ispecie dell'accorta Lucrezia, il giovane poeta, il quale ormai non s; potea più convenire col cardinal Luigi, se ne torna a Ferrara, per essere ammesso alla corte di Alfonso, il quale gli offriva alloggio e tavola come prima e per giunta lire marchesane cinquantotto e soldi dieci al mese (L. 159, 56) (1); coll'obbligo di viversela allegramente e di trattenere le dame coi sonetti e colle canzoni. S'aggiungevano più tardi centocinquanta lire marchesane annue coli' obbligo d' una lezione settimanale allo studio di Ferrara.
Chi più beato, adunque, di lui che se ne tornava glorioso ed onorato a quella corte dalla quale la sua poca accortezza lo avea prima rimosso; e se ne tornava con raddoppiato favore de' Principi, che ormai s erano avvezzi a vederselo intorno e a sentirne le poetiche lodi? Certo l'invidia avrà tentato i cauti suoi colpi, ora che s vedeva giovine poeta già superare le prime difficoltà ed avanzare in onoi e benefizii; ma il Tasso viveva troppo nel mondo dell' immaginazione per accorgersi dei primi colpi di offesa. E la TTita che gli fioriva d'intorno era così bella, che non giovava davvero disturbarla con vani timori.
(1) Lettere, I, 26.