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CAPITOLO III.
nver disturbato o interrotto i rapporti d'affetto tra Luerezia e il poeta; nò ciò ha in sò nulla d'inverisimile. Pure sta il fatto che nel luglio del 1505 durava il loro affettuoso rapporto. Da Vanesia, ove forse eereava una distrazione negli studii, e correggendo le edizioni di Aldo Manuzio , egli le scrive il 25 di quel mese: u Ho deliberato d'andare per due mesi in una mia villetta, affine di dar » fine alle eose incominciate per voi. Noi qual tempo se alle volte vi risoneranno » gli orecchi, fia per ciò, che io ragionerò con quelle ombre e con quegli orrori » e eon quelle piante di voi, o di voi ne.seriverò le earte, che aneora si legge' ranno un secolo dopo noi. La qual eosa (aggiunge il fino cortigiano) se non « sarà per eagion d'alcuna perfezion loro, fie por lì altezza del nome vostro, che ' elle porteranno in fronte, il quale per se stesso ha l'eternità seco (1) ».
. E il perseverare della loro eorrispondenza epistolare, ehe pur si veniva facendo sempre più rada e inconcludente, non solo per tutto il 1505 e 1500, ma anche ben più tardi, fino al 1517, mostrerebbe veramente ehe il loro amore non cessasse per subita seossa; ma che essi, al contrario, preoccupati da più gravi faccende e ambizioni, abbiano lentamente décousu, secondo l'avvertenza del proverbio francese.
E qual seria piega prendesse la vita di Lucrezia da questi anni in poi, è ben noto ormai a tutti, per l'opera in ispecie del Gregorovius. A uo toeea qui esporre quali fossero i casi ulteriori del Bembo.
Per il Bembo, tutto imbevuto di erudizione greca e latina, e aspirante a vita riposata e sicura, non disgiunta tuttavia dalle lusinghe della vanità soddi sfatta, Roma dovea essere la meta, la patria ideale; e mentre il savio padre, eho, pur coltivando le lettere, s' era fatto onorare negli uffiei lucrosi della repubblica, pensava di mettere per ia stessa strada il figliuolo, e di rneglio legarlo a sè e alla patria facendogli prender moglie; il giovine Bembo s'industriava da sè e col mezzo di amici per potersene andar a vivere in Roma, Egli, eccellente petrar-ehista, non poteva contentarsi della Laura già trovata; aveva, purtroppo, bisogno del canonicato.
Bui principio del 1506 e' eredette d'aver combinato alfine il modo d'andarvi con un suo amico, e di potervi vivere con « quiete, onore e libertà » (2); ma non fu poi possibile attuare quel disegno: l'amico lo lasciò in asso.
Non potendo pigliare di fronte la fortezza, il Bembo, senza smarrirsi d'animo, venne pensando altra via di penetrarvi sicuro: pensò agli amici e protettori che aveva alla corte di Urbino; e fu questo un pensiero più felice.
Regnava allora in Urbino il duca Guido Ubaldo, figl ) del glorioso Federico di Montefeltro, ed ultimo della sua stirpe. Culto, ngegnoso e animoso, aveva avuto costantemente contraria la sorte. Aveva prima combattuto eon poaa fortuna sotto le bandiere di Alessandro VI; ed era poi stato costretto per due volte a sgom'braré i suoi stati, per fuggire le insidie e le armi del Valentino. Bello di persona e piacevole di modi, era impedito nelle membra da un'ostinata podagra, ehe le avea preso all'età di veni- anni. Vedeva perire in sè lentamente una stirpe gloriosa.
Sommo conforto in tante sventure gli era la moglie, Elisabetta Gonzaga, donna d'arnno virile, intelligente, modesta, belhisima e pudica: onore del secolo. E d; conforto pur gli era 1 figlio adottivo Francesco Maria della Rovere, prefetto di Roma, e nipote di Giulio II, nato da Giovanna d Montefeltro, sorella del duea Guido, e da Giovanni della Rovere, fratello del Papa, al quale Sisto IV avea dato la signoria di Sinigaglia. Il duea Guido per questo mo lo era iatima-mente legato con Giulio II, che lo aveva nominato « ad honorem » gonfaloniere della Chiesa.
(1) Lettere, IV, 14.
(2) Lettere> IV, 33.