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CAPITOLO III.
ad accozzarli tutti, venti di a Firenze. Ho insino a qui uccellato ai tordi di mia mano, levandomi innanzi dì; impaniavo, andavano con un faseio di gabbie addosso, ehe pareva il Greta, quando torna dal porto con i libri d'Anfitrione; pigliavo almeno due, al più sotto tordi. Così stetti tutto settembre: di poi questo badalucco, aneorachè dispettoso e strano, è maneato eon mio dispiacere; e quale la vita mia di poi vi dirò. Io mi levo eoi sole, e vomm in un mio boseo elio io fo tagliare, dove sto due ore a rivedere l'opere del giorno passato, ed a passar tempo con quei tagliatori, che hanno sempre qualehe sciagura alle mani, o fra loro o eoi vicini. E cirea questo bosco, io avrei a dire mille belle cose.... Partitomi dal bosco, io me ne vo ad una fonte, e di qui in un mio uccellare, con un libro sotto, o Dante o Petrarea, o uno di questi poeti minori, come dire Tibullo , Ovidio e simili. Leggo quelle amoroso passioni, e quelli loro amori, ricordomi de' mia, e godomi un pezzo in questo pondero. Trasferiseomi poi in sulla strada nell'osteria, parlo eon quelli ehe passano, domando delle nuove de' paesj loro, intendo varie cose e noto vari gusti e diverse fantasie di uomini. Viene in questo mentre l'ora del desinare, dove eon la mia brigata mi mangio di quell) cibi ehe questa mia povera villa e paulolo patrimonio comporta. Mangiato che ho, ritorno nell'osteria: qui è l'oste, per l'ordinario un beccaio, un mugnaio, due fornaeiaj. Con questi io m'ingaglioffo per tutte dì giuoeando a cricca, a tric-trac, dove nascono mille contese, e mdlc dispetti di parole ingiuriose, ed il più delle volte si eombatte un quattrino, e siamo sentiti nondimeno gridare da San Casciano. Così rinvolto in questa viltà, traggo il cervello di muffa, e sfogo la malignità di questa mia sorte, sendo contento mi calpesti per quella via, per vedere se la se ne vergognasse. Venuta la sera, me ne ritorno et casa, ed entro nel mio serittojo; ed in sull' uscio mi spoglio quella veste contadina, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali, e rivest to eonde-centemente, entro nelle antiche eorti degli antiehi uomini, dove da loro rieevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, ehe solum è mio, e che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro, e domandare della ragione delle loro ai oni; e quelli per loro umanità mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia, s dimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte; tutto m trasfer sco in loro. E perchè Danto dice: ehe non fa scienza senza ritener lo inteso — io ho notato quello di che per la loro conversazi one ho fatto eapitale, e composto un opuseolo De principatibus, dove io mi profondo quanto io posso nelle cogitazioni di questo subìetto, disputando che cesa è principato, di quali speeie sono, come ei si mantengono, perchè e' si perdono; e se vi piacque mai aleun mio ghiribizzo, questo non vi dovrebbe dispiacere ; e ad un principe, e massime ad un prineipe nuovo, dovrebbe essere aceetto; però io 1 mdiiizzo alla magnificenza di Giuliano. Filippo Oasavecchia l'ha visto; vi potrà ragguagliare della cosa in sè, e de'ragionamenti avuti seeo, ancorché tuttavolta io 1' .igrasso e ripulisco. Io ho ragionato eon Filippo di questo mio opuscolo, se gl era bene darlo o non lo dare; e se gli è ben darlo, se gli era bene che io io portassi, o ehe io ve lo mandassi. Il non lo dare mi facea dubitare ehe da Galliano non fussi, non ehe altro, letto, e questo Ardin-ghelli si facessi onere di questa ultima mia fatica. Il darlo mi faceva la necessità che mi eaccia, perchè io mi logoro, e lungo tempo non posso stare così che io non diventi per povertà contennendo. Appresso il desiderio avrei ehe questi signori Medici m comincias&ino adoperare, so dovessino cominciare a farmi voltolare un sasso; perehò se io poi non me li guadagnassi, io mi dorrei di me; e per questa cosa, quando la fusi letta, si vedrebbe che quindici anni che io sono stato a studio dell'arte dello stato, non gli ho nè dormiti, nò gìuo-cati; e dovrebbe ciascuno aver earo servirsi d'
uno che alle spese
di altri fussi pieno d'esperienza. E della fede mia non sj dovrebbe dubitare, perchè avendo sempre osservato la fede, io non debbo imparare ora a romperla, e chi è stato