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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

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a cura di Federico Adamoli

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   368 IL RISORGIMENTO.
   Florida vita avevano gli studi in Napoli sotto gli Aragonesi. Efficacemente protetto e stimolato (la questi principi, ferveva nell'Accademia napoletana quel lavorio intellettuale di Ai abbiamo altrove descritto l'indirizzo. Intorno al Pontano, capo dell'Accademia, sorgeva una folla di eletti ingegni che scrivevano in latino trattati di scienze naturali, di morale, (li politica, e storie e prose di vario genere e versi, con tendenze apertamente avverse alla teocrazia romana. Jacopo Sannazzaro, nato in Napoli nel 1458, era, dopo il Pontano, il più illustre uomo di quella coorte napoletana che dava opera con tanta libertà alla restaurazione del sapere antico. D'indole delicata e gentile, il Sannazzaro aveva scritto, essendo giovane ancora, versi latini, celebrando gli appassionati suoi amori con Carmosina Bonifacio. Questi versi letti e reputati bellissimi dal Pontano, gli avevano aperto le porte dell'Accademia e della Corte degli Aragonesi. Si fu in quest'ultima che egli stnnse con Federico un'amicìzia che doveva durare per tutta la vita e farsi più intima ed affettuosa in mezzo alle sventure che pochi anni dipoi colpirono quel principe aragonese. All' epoca in cui il Sannazzaro entrava nell'Accademia napoletana, nei dotti che la componevano era sempre ferma la credenza che la tradizione classica bastava a se stessa. Difatti essi non scrivevano che latino. Noi troviamo bensì che i principi aragonesi prendevano diletto in assistere a certe Farse in dialetto napoletano , di cui si leggono alcuni brani in Napoli-Signorelli (1). Troviamo anche che lo stesso Sannazzaro, per soddisfare alla vaghezza di rappresentazioni del suo amico il principe Federico, scrisse in dialetto certe farse intitolate i Gliuommeri, di cui non ci rimane che il ricordo, e una farsa rappresentata in Napoli il 4 marzo 1492 per celebrare la presa di Granata, avvenuta il 2 gennaio di quell'anno medesimo (2). Ma nessuno dei dotti si curò di sollevare il dialetto napoletano a dignità di 'ingua letteraria, e d'altronde la Corte, i Baroni, le classi colte erano troppo lontane dalla vita del popolo per poter efficacemente influire sul suo dialetto e modificarne le forme, come era avvenuto in Firenze. Il dialetto fu abbandonato dal Sannazzaro stesso, il quale scrivendo poco dopo in italiano, non attinse già alle fonti dell' uso vivente, ma impose alla lingua italiana le forme e 1' andamento delia latina. Egli aveva finalmente trovato una lingua in armonia colle opinioni e colle tendenze dei dotti napoletani suoi contemporanei. Il monumento letterario in cui apparve questo singolare accordo dell'antico col moderno, fu VArcadia. Ma di quest'opera, pubblicata per la prima volta nel 1502, che adombrava l'ideale poetico che un secolo tramandava all'altro in eredità, e che ottenne un immenso successo, si dirà con maggiore opportunità nei capitoli seguenti.
   (1) Vicende della Coltura delle Due Sicilie.
   (2) Questa farsa trovasi, di solito , riunita alle opere volgari del Sannazzaro. Eccone il semplicissimo ordito: Maometto, fuggendo l'armata cristiana, deplora la sconfitta toccata. La Fede e la Gioja si congratulano fra loro della presa di Granata, e la rappresentazione termina con una mascherata e con delle danze. Questa farsa rimase inedita fino al 1720, anno in cui venne pubblicata in Napoli dal Mosca.