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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO QUINTO. — LA NUOVA LETTERA! IRA, ECC. 367
   patra, i re vinti, il Senato romano, i consoli, : magistrati con tutti gli emblemi cjr-rispondenti e perfino colle scritte dei senato-consulti ricamate sopra la seta. Fi-guie mitologiche circondavano la processione sopra quattro smisurati carri; altre cantavano le lodi del padre della patria, cioè del Papa (1). Nel 1484 in una corte del Vaticano si recitò dinanzi a Sisto IV la Storia di Costantino. Gli ambasciatori spagnuolì con uno spettacolo in piazza Navona fecero celebrare la caduta di Granata. Carlo Verardi, segretario del cardinale Raffaele Riario, componeva un dramma latino sulla caduta di Granata; Marcellino, nipote del Verardi, scrisse anch' egli un dramma latino rappresentante il salvamento di Ferdinando di Spagna dalle mani di un sicario, messo in iscena nell'aprile del 1492 dal cardinal Riario sunnominato (2). — Finalmente, restaurata l'antica letteratura, il teatro classico prese il sopravvento, e la rappresentazione sacra venne abbandonata o sostanzialmente trasformata sul modello classico profano. Infatti noi vediamo i cardinali nipoti di Sisto IV far produrre in sulle scene commedie latine, e Pomponio Leto far rappresentare da' suoi compagni dell'Accademia romana le commedie di Plauto e di Terenzio.
   Roma rimaneva a quest'epoca, e rimase anche dipoi durante il pontificato di Leone X, il centro della latinità ristaurata.
   L'Accademia romana, violentemente dispersa da Paolo II, venne poco dopo ristaurata da Sisto IV. L'imperatore Federigo III le conferì un Privilegium, che fu letto fra il giubilo universale in un banchetto accademico tenuto ai 20 aprile 1483, quando per la prima volta si celebrò pubblicamente la festa della fondazione di Roma (3). D'allora in poi l'Accademia fiori, e non ebbe fine che nel 1527, anno del sacco di Roma. In essa però non dominò più l'indirizzo fantastico e un po' mistico che Pomponio Leto aveva dato all' erudizione, nè il culto superstizioso che quest'erudito aveva professato per le cose antiche. I nuovi ingegni che la frequentarono sopra ogni cosa mirarono alla perfezione della forma latina : e che essi abbiano conseguito per molta parte il loro scopo lo attestano, tra 1' altre, le opere del Sa-doleto e del Vida, che sono ciò che di più elegante si sia scritto in latino nei tempi moderni. Oltre l'Accademia, tenevansi in Roma altre adunanze di eruditi latinisti, tra cui era notevole quella di Paolo Cortese, l'autore dell' opera De hominibus doctis. Questo chiaro latinista raccoglieva in sua casa una brigata di dotti a ragionare di cose antiche, senza per altro dare a' suoi convegni nè forme nè regolamenti accademici (4). Frequentatore di tali convegni era Serafino Aquilano, un petrarchista nato in Aquila degli Abruzzi e molto celebrato ai suoi tempi. Egli improvvisava e cantava versi sul liuto, e fu perciò caro a molti principi e signori. Dalla corte del Conte di Potenza, dove aveva imparato la musica, egli era passato in Roma al seguito del cardinale Ascanio Sforza. Da Roma passò dipoi successivamente alle Corti del re di Napoli, del Duca d'Urbino, del Marchese di Mantova e del Duca di Milano. All'ultimo si mise ai servigi di Cesare Borgia. Morì in Roma nel 500 di soli 31 anni, ed ebbe onorata sepoltura in S. Maria del Popolo (5). La facilità e il calore meridionale dell'improvvisazione, nonché il suono del liuto onde s'accompagnava, per il momento davano ai suoi versi una vivacità e un calore che eccitavano gli ascoltatori all'applauso. La stampa fece però scomparir quelle doti, e la posterità dimenticò dopo qualche tempo le rime dell'Aquilano (6), le quali non ebbero alcuna influenza sul rinnovamento del volgare in Roma.
   (1) Mieh. Oannesio, Vita Pauli II, p. 1019 — citato dal Gregorovius, op. cit. lib. Xlil, cap. VI, § 6.
   (2) Gregorovius, loc. cit.
   (3) Jacob. Volaterran, Biar. Rom. cit. dal Gregorovius.
   (4) Roscoe, op. cit.
   (5) Tiraboschi, op. cit. G. Roscoe, op cit.
   (6) Queste rime furono stampate più volte nel secolo XVI. Una prima edizione se no fece in Roma nel 1503, un'altra più bella e più corretta in Firenze dai Giunti nel 1516.