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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

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a cura di Federico Adamoli

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   IL RISORGIMENTO.
   e bianchi, e molto più atti a veder poco che assai, il naso aquilino similmente grande e grosso molto più del dovere, i labri etiam grossi, i quali continuamente tiene aperti, ed alcuni movimenti di mano spasmosi che paiono molto brutti a vederli, et est tardus in locutione. Secondo la opinione mia, la quale potria essere molto ben falsa, io tengo per fermo quod de eorpore et de ingenio parum vaieat; tamen è laudato da tutti in Parigi per gagliardissimo a giocar alla palla, in caccia e alla giostra, nei quali esercizi vel bene, vel male mette e distribuisce tempo assai. È etiam laudato che siccome per il 'passato aveva lasciato il carico della deliberazione delle cose ad alcuni del consiglio secreto, al presente ipsemet vuol esser quello che le abbia a deliberare e deffinire: le quali deliberazioni dicono che le fa con maniera grandissima. La regina è di età di anni diciasette, piccola anche lei e scarna di persona, zoppa da un piede notabilmente ancora che si aiuti con zoccoli, brunetta e assai formosa di volto, e per l'età sua astutissima, di sorte che quello che si mette in animo o con riso o con pianto omnino lo vuole ottenere .....» —
   Roma non aveva letteratura volgare. Ivi lo spirito degli eruditi e dei letterati rimanevasi ancor chiuso nelle forme del latino, nè v'erano eccitamenti che valessero a richiamarlo all'uso del volgare. Non v' era in Roma una borghesia come quella che circondava i Medici in Firenze, nè una Corte fiorita di dame e cavalieri come quella che brillava in Ferrara. Il popolo romano era stato finalmente ridotto nella dipendenza assoluta della teocrazia papale e non aveva più vita politica nè cultura; la Corte del pontefice, centro della vita e della cultura in Roma, componevasi di cardinali, di prelati e di eruditi che non tenevano in pregio se non il latino. — E in latino è infatti scritto tutto ciò che troviamo in Roma sul finire dela secolo XV, archeologia, storia, poesia (1). Le stesse rappresentazioni sceniche, frequentissime in Roma, non valsero a far riprendere ai letterati romani l'uso del volgare: le rappresentazioni e i drammi dell'epoca di cui ci occupiamo sono tutti scritti in latino. Soltanto è da notare che, quanto al suo contenuto e alle sue forme, il teatro subisce anche in Roma quelle stesse modificazioni che aveva subii o e subiva tuttora altrove. Infatti il contenuto biblico delle rappresentazioni del meuio evo nella seconda metà del secolo XV cede il posto alla mitologia e ai fatti della storia classica e contemporanea. Nel 1473 il cardinal Riario faceva rappresentare sopra uno stesso teatro scene di storia biblica e di mitologia. Paolo II faceva, in carnevale, rappresentare un gran corteo trionfale in cui furono visti Augusto, Cleo-
   (1) Quanto alla storia bisogna fare un'eccezione per il Diario della Città di Roma, di Stefano Infessura, scritto parte in volgare, parte in latino. — Dell' Infessura si sa soltanto che fu pretore ad Orta nel 1478, indi scrivano del Senato. Il Diario della Città di Roma da lui composto principia coiranno 1295; poi salta d'un tratto al 1403, riferendo la storia della prima metà del secolo XV come in un compendio tratto in altre cronache. Dopo quest'epoca il racconto diventa originale ed è copioso di materie, segnatamente da Sisto IV in poi. L'Infessura « non ha cultura umanistica, nè della vita letteraria e artistica di Roma registra la benché minima notizia. Nell'onesto Infessura batte il cuore di libero cittadino, laonde con sano intelletto giudica dei fatti. Uomo pratico, assume forme semplici e austere; patriota romano si palesa repubblicano d'inclinazione e di principi, nemico della dominazione pontifìcia e pertanto sostenitore aperto del Porcari. Per conseguenza egli tratteggia coi più neri colori i Papi, e severamente li biasima, massime Sisto IV da lui odiatissimo. Tuttavolta non gli si possono rimproverare falsità storiche. Poiché tiene conto del Papato assolutamente sotto 1' aspetto temporale, il nepotismo gli dà argomento di santissime ire morali e di amare invettive. Unicamente, che avendo badato ad un solo punto di vista, non ispende pur una parola a dire del bene che in talune attinenze Sisto IV oprò. Si può appellar l'Infessura ultimo repubblicano della città di Roma; e fu uomo di virtù vera, pieno di dignità e di cuore cittadino. Da lui meglio che da qualunque altro si apprende quale fosse la vita pubblica ai tempi di Sisto IV e di Innocenzo; in questo la sua scrittura ò la maggiore e la più proficua delle fonti. » — Gregorovius, Storia della Città di Roma nel Medio Evo. Lib. XIII, Cap. VI, § V.