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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO QUINTO. — LA NUOVA LETTERA! IRA, ECC. 365
   nezia, che fu pure si grande, non ebbe storici fuori di quelli che erano al servizio della Repubblica. Non era l'istoria in quel governo, come m Roma non lo era, tale materia che si potesse abbandonare ai giudizii sempre più o meno licenziosi delle trattazioni private ; non era neppur tale che si potessero in ogni caso illustrare dal governo con argomenti di giustificazione le deliberazioni ed i fatti. Quindi la Repubblica ha bensi stipendiato scrittori per avere l'esclusività dei racconti, ma non disse giammai la parola, aperiantur oculi vestri, e la collana degli storici veneti, che pur coprirono quasi tutti elevate posizioni nel governo della Repubblica, ed erano bene iniziati nelle ragioni e misteri, appare in complesso assai inferiore alla grandezza, alla luminosa sapienza di Stato. Quasi tutte le pagine di essi sono impiegate a descrivere gli apprestamenti navali, le battaglie, gli assedj, i templi innalzati per voti, i commerci predati, difesi, le isole occupate, perdute: pochissime pagine riflettono l'interna vita dello Stato, le scaturigini, cioè, di quelle forze cospiranti, divergenti, esuberanti, deficienti, di cui lo storico non tocca che gli scenici effetti, le ultime conseguenze. »
   Benché fra tanta e cosi varia cultura non apparisca ancora una letteratura volgare, tuttavia è da notare che fin dai tempi in cui la Repubblica, voltasi alle conquiste di terraferma, s'era congiunta alla vita italiana, i Veneziani, nelle loro scritture, non si servivano più soltanto del latino, ma già cominciavano a far uso anche del volgare. Qual fosse codesto volgare lo si può vedere in quelle tra le Relazioni degli ambasciadori veneti che appartengono al periodo che presentemente ci occupa. In esso son riprodotti i caratteri essenziali e le tendenze dello spirito veneziano. È noto che fin dal 1268 la Republica aveva ordinato che ogni ambasciatore, compiuto il suo ufficio, facesse al Senato relazione delle cose operate e viste durante la legazione, e depositasse poi la relazione scritta negli Archivj della Repubblica, dove rimaneva segreta Tali relazioni furono primamente raccolte e stampate in Colonia nel 15S9, ma incompiute e alterate. Napoleone I, distrutta la Repubblica, fece trasportare a Parigi tutto l'Archivio veneziano. Nel 1815 quelle carte furono restituite al Governo austriaco, che parte ne portò a Vienna, parte ne rimandò a Venezia. Il Cibrario, nel 1830, pubblicò tre Relazioni venete sulle cose di Savoja: Nel 1833, il Tommaseo, per commissione di Guizot, pubblicò in Parigi una raccolta delle Relazioni venete sulle cose di Francia nel cinquecento. Finalmente nel 1839 una Società promossa da Gino Capponi affidava ad Eugenio Albóri la pubblicazione ili una compiuta Raccolta delle Relazioni venete del secolo XVI, divisa in tre serie. Relazioni degli Stati Europei, Relazioni d' Italia, Relazioni Asiatiche ed Africane. Questa raccolta componesi di 15 volumi. Le Relazioni del secolo XVI cominciano da una del 1492; le precedenti andarono perdute per un incendio che nel 1577 distrusse gran parte dell'Archivio pubblico, e non vanno oltre il 1535.
   Le Relazioni degli ambasciatori veneti formano la più ricca e pregevole raccolta di fatti, di giudizi, di ritratti di personaggi, di cui si possa valere uno storico. In esse Venezia lasciò un monumento solenne della sua sapienza politica. L'ainba-sciator veneziano, col suo senso pratico, colla sua intelligenza profonda degli uomini e delle cose, mette uno sguardo acutissimo nell'anima dei papi, dei re, dei principi, dei loro cortigiani e ministri, vede chiaro nelle sottilissime trame tessute dalla diplomazia, e ne segue e ne invigila costantemente i tenebrosi raggiri. Egli assiste freddo, impassibile ai delitti, alle eroiche azioni, ai trionfi e alle sventure delle Corti in cui dimora. Un solo interesse lo domina: quello della Repubblica. Quando scrive non ha pretensioni letterarie, non cura l'ornamento del discorso, i lenocinì della ret-torica. Tutto inteso alle cose che gli stanno dinanzi, quando a ritrarle la parola del volgare comune non gli basta, supplisce con una del dialetto veneziano e spesso con una latina. Ma egli raggiunge mirabilmente lo scopo suo: la sua scrittura è evidente, perspicua. Vedasi, ad esempio, in una Relazione del 1492 scritta da Zaccaria Contarmi sulle cose di Francia, il ritratto di Carlo VIII e di Anna di Borgogna sua moglie. « La maestà del re di Francia — dice il Contarini — è di età di ventidue anni, piccolo e mal composto della persona, brutto di volto, che ha gli occhi grossi