CAPITOLO QUINTO. — LA NUOVA LETTERA! IRA, ECC. 359
ai tribunali. Scrisse di ciò allo Sforza, e si fece raccomandare a questo principe dal Marchese e dal Cardinale di Mantova e dalla Duchessa d'Urbino. Lo Sforza gli rispose, persuadendolo a tornare in patria e chiamandolo suo amico carissimo. Il Collenuccio tornò in Pesaro, dove fu bene accolto dallo Sforza. Ma nel chiedere a questi giustizia, ardi produrre anche la supplica presentata al Valentino, supplica piena d'aspre e oltraggiane parole per lo Sforza (1). Questi lo gittò in carcere e lo condannò a morie. Il Collenuccio non diè una lagrima nè un sospiro. Giunto al suo carcere, chiese da scrivere e compose un nobilissimo Inno alla Morte, in cui, osserva il Perticari, se ci possono offendere alcuni vizi del dire, pure la virile filosofìa che vi splende può bene adempiere il difetto di quelle vuote parole, delle quali poi s'illustrarono le poesie di molti vanissimi scrittori del cinquecento (2). — Composto quest' Inno e steso di propria mano un testamento in cui provvedeva alle cose domestiche e al bisogno della moglie e dei figli, senza perdere mai la costanza e la fermezza dell'animo suo il Collenuccio morì strangolato in carcere 1' 11 luglio del 1504.
Egli era uomo dottissimo. Il Poliziano si maravigliava come il Collenuccio potesse condurre i negozi dei principi e nello stesso tempo scriver versi e prose, rispondere ai litiganti e trattare le più recondite discipline (3). Secondo il Perticari, egli fu il primo che in Europa fondasse un museo di cose naturali, e cercasse e raccogliesse le memorie degli Etruschi. La storia della Letteratura volgare ricorda il suo volgarizzamento deWAmfttrione di Plauto, intrapreso ad istanza del Duca Ercole I e da questi fatto splendidamente rappresentare nel suo teatro di Corte, l'anno 1487; il suo Compendio della Storia di Napoli dalle origini fino alla fine del secolo XV, da altri voltato poi in latino (4); e anche certi Dialoghi scritti alla maniera di Luciano (5). Queste scritture sono stese in un volgare che tiene i modi e l'andamento dei dialetti lombardi, aspro e mancante di vivacità e di grazia. E ciò nuoce specialmente nel volganzzamento dell'Amfìtrione, dove, osserva giustamente Eugenio Camerini, l'editore ultimo di questa commedia, non sarebbe bastata tutta la finezza e la loti—
(1) V. la nota del Bertuccioli alla Memoria del Perticari nell'edizione Daelli, pag 15.
(2) V Inno del Collenuccio, trascritto da un codice della Biblioteca Oliveriana e pubblicato per la prima volta dal Perticari, comincia così:
Qual peregrin nel vago errore stanco De' lunghi e faticosi suoi viaggi Per luoghi aspri e selvaggi, Fatto già incurvo per etate e bianco, Al dolce patrio albergo Sospirando s'affretta, in che rimembra Le paterne ossa e la sua prima etate: Di se stesso pietatc
Tenera il prende, e le affannate membra Posar desia nel loco ove già nacque, E il buon viver gli piacque: Tal io, che a peggior anni oramai vergo In sogno, in fumo, in vanitale avvolto, A te mie preghe volto, Refugio singoiar che pace apporte Allo umano viaggio, o sacra Morte.
(3) Politian. Epist. 32. lib. VII; citato dal Perticari.
(4) Venezia 1539, 1511, 1562. Quest'ultima edizione fu emendata dal Ruscelli. V. Perticari. loc. cit.
(5) Misopenes, Agenoria, Aletia, Bombarda, Dialog. Pand. Coli. Argentorati 1511, Ra-mae 1526, Basilea 1547. — Capit. et Pilei dial. impr. per Jac. de Preda. Daventriae 1497.