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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

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a cura di Federico Adamoli

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   IL RISORGIMENTO.
   Carlo Vili, e n'e sgomento, cantar di chi Dio sa se'l fu mai, ed ora maledire, ora levare a cielo l'invasore straniero, a grado dei padroni ch'egli sollazza co' suoi canti, e tra la miseria e la sventura comporre e scrivere senza sapere se sia morto o vivo bizzarrie, burleschi e osceni racconti per rallegrar dame e cavalieri. Gaston Paris (1) considera il poema del Bello come uno svolgimento insieme e un intermediario tra due momenti della storia della poesia cavalleresca in Italia. Apostolo Zeno attribuiva 1' obbiio in cui giace il Mambriano alla mala sorte di non aver incontrato un Berni che lo rifacesse. Se con ciò quell' erudito veneziano intendeva dire che il poema del Cieco da Ferrara manca d'arte egli aveva ragiono. Il Bello infatti concepisce il mondo cavalleresco come lo concepiva il cantastorie di piazza, materia da colpire l'immaginazione colla straordinarietà e col maraviglioso degli avvenimenti. Egli non trasforma codesta materia, e soltanto cangia in profani i devoti cominciamenti e le chiuse dei canti, e sostituisce una sensualità grossolanamente scettica e licenziosa allo spirito del romanzo plebeo. Il maraviglioso è da lui portato ad eccessi estremi; invece dell'equivoco ti dà l'oscenità; il suo riso, poiché chiaramente apparisce nel poema l'intenzione della parodia, è pesante e buffonesco.
   Poca o nessuna parte nel risorgimento della lingua e della letteratura volgare a sè rivendicano Bologna e le piccole Signorie della Romagna. In queste città noi non troviamo che eruditi, i quali continuano a scrivere in latino. Soltanto Pandolfo Collenuccio da Pesaro appartiene alla storia della letteratura volgare. — Sul principio del corrente secolo, Giulio Perticari, in un suo breve scritto narrò le vicende e la miseranda fine del Collenuccio, perchè non mancasse l'onore dovuto ad un nobilissimo spirito e alla santa vita d'un uomo che perì vittima della tirannide d' un vigliacco e reo signore del secolo XV (2). Pandolfo Collenuccio, per l'altezza del suo ingegno venuto già in fama tra i dotti e tra i potenti, era nel 1477 vicario generale di Costanzo Sforza nella Signoria di Pesaro. Alla morte di questo principe egli s'adoperò perchè gli succedesse nel dominio il figlio di lui Giovanni, a cui il Pontefice Sisto IV negava tale onore a motivo dell'illegittimità della sua uascita. Giovanni fu signore di Pesaro, ma il Collenuccio fu pagato dell'opera sua coli' esilio. Nata discordia fra lui e Giulio Varano da Camerino per ragione di danaro, e portata la cosa dinanzi ai tribunali, lo Sforza, senza attendere che si pronunciasse sentenza, gittò Pandolfo in carcere per sedici mesi; poi, privatolo del suo patrimonio, lo bandì da Pesaro (1489). Il Collenuccio andò per undici anni ramingando per diverse città d'Italia e di Germania, trovandosi dovunque rispettato ed onorato. Fu nel 1490 podestà di Firenze, visse in Corte di Casimiro re di Polonia, andò ambasciatore di Ercole I Duca di Ferrara all'imperatore Massimiliano, fu consigliere del Marchese di Mantova, ed ebbe parte nei maneggi politici degli ultimi anni del secolo XV. Finalmente, quando nel 1500 Cesare Borgia s'impadronì di Pesaro, cacciandone lo Sforza, egli chiese al nuovo Signore di ricuperare la sua patria e le sue sostanze, ed ottenne ogni cosa. Ma dopo poco tempo il Borgia perdette lo stato, e
   10 Sforza lo ricuperò, abbandonandosi a lunghe e grandi vendette, empiendolo di confische, di esigli e di sangue. Il Collenuccio si trovò allora costretto di riparare a Ferrara in Corte di Ercole I che lo aveva eletto suo Capitano di giustizia. Il suo nome non era però stato messo dallo Sforza fra quelli degli sbanditi, i suoi beni non eran stati confiscati. Pareva che lo Sforza avesse obbliato l'antico sdegno. —
   11 Collenuccio credette per ciò di poter tornare senza pericolo a Pesaro, tanto più che lo chiamava in questa città la decisione di certe liti che aveva pendenti d'nanzi
   (1) Op. cit.
   (2) Memoria stampata tra le opere del Perticari dal.Silvestri, Milano 1823, toni. II.— V. anche Anfitrione, Commedia di Plauto voltata in terza rima da Pandolfo Collenucio aggiuntovi il dialogo dello stesso tra la Berretta e la Testa, 'premesso il discorso di Giulio Perticari intorno alla vita ed alle opere dell'autore. — Milano. — G. Daelli e Comp. Editori. 1864. Biblioteca Rara.