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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO QUINTO. — LA NUOVA LETTERA! IRA, ECC. 353
   Orlando, il protagonista del poema, riesce alla fine a meritarsi quell'epiteto di Gabbione che il Bojardo dice regalato da Turpino al sir d'Anglante. Si trovano nel Bojardo concezioni che non hanno riscontro in nessuno dei poemi antecedenti. Tali sono, fra molte, quelle d'Angelica e di Rodomonte. Ma bisogna confessare che anche queste sarebbero state dimenticate come tante altre ove l'Ariosto non avesse lor dato una vita immortale nel suo Furioso.
   Ci erano stati eroi e fatti fantastici infiniti nel mondo dei romanzi, e le persone colte, pur prendendo diletto a vederne sorgere di nuovi, li guardavano con un ironico sorriso d'incredulità. Il Bojardo però non vuole ridere di questi eroi ed avventure ch'ei va nobilitando, ornando e narrando con epica serietà. E quando lo spinto della cultura che vive dentro di lui, soverchia le sue intenzioni letterarie, e si fa strada quasi mal grado il poeta, e gli fa comporre le labbra ad un sorriso dinanzi a quel mondo fantastico, il suo riso non assume nel poema quel significato che pure costituiva la sua essenza. Yogliam dire ch'esso non si eleva pienamente consapevole di sè al disopra del Medio evo divenuto fantastico, a padroneggiarlo, a sperderlo come nebbia al sole, ad attestare il sorgere d'un'età più colta, più civile, più umana. Anche qui veuner meno al Bojardo l'immaginazione e lo spirito. Il suo scherzo è senza leggiadria; la sua ironia non è così sottile che penetri con punta invisibile e uccida.
   « Vede chiaro, dice il De Sanctis parlando del Bojardo, disegna preciso, come fosse un mondo storico ; e appunto perciò in un mondo così fantatistico rimane pedestre e minuto, e non ti sottrae al reale, non ti ruba i contorni, non ti tira per forza in una regione incantata. A questo grande inventore di magie, la natura negò la magia più desiderabile, la magia dello stile. Le più originali concezioni, le più interessanti situazioni, ti cascano sul più bello ; sei nel fantastico e ti trovi nel
   volgare____Il che avviene senza intenzione, comica, unicamente per la soverchia
   crudezza dei colori, a cui mancano le gradazioni e le mezze tinte. Cosi quel mondo che nella sua natura doveva essere fantastico e comico, ti riesce spesso nella rappresentazione prosaico e volgare (1) ».
   Pochi anni dopo la morte del Bojardo, Lodovico Ariosto ripigliò le file dell'Orlando Innamorato rimaste interrotte. L'Innamorato e il Furioso formarono una sola ed immensa epopea d'Orlando. Gli eroi dell'un poema riapparvero nell' altro; ma ritoccati dalla divina fantasia ariostesca ricevettero una vita immortale. Lo splendor del Furioso lasciò nell' ombra VInnamorato. — Contemporaneamente all'Ariosto, Niccolò Agostini, veneziano, provossi a continuare e compiere la tela dell' Orlando Innamorato. Questo verseggiatore aggiunse al poema del Bojardo, dapprima un quarto libro, mosso, dicesi, a ciò fare, dal duca Francesco Sforza ; scrisse più tardi un quinto libro dedicato a Bartolomeo Liviani Capitano della Signoria di Venezia ; e finalmente un sesto di soli sei canti, composto ad istanza dello stampatore Niccolò Zoppino. Oggidì però la continuazione dell'Agostini è poco più che una curiosità bibliografica.
   Il cinquecentista Lodovico Domenichi, secondando le tendenze del suo tempo, volle rendere eleganti le forme esteriori un po' rozze &q\Y Orlando Innamorato, e rifece il poema del Bojardo (2). Finalmente nel 1541 apparve la prima edizione del
   (1) Stor. della Lett. Ital. Voi. I, pag. 300.
   (2) Ecco la prima stanca del poema rifatta dal Domenichi da confrontare con quella originale del Bojardo recata più sopra a pag 341.
   Se. come mostra il taciturno aspetto, Signori e Cavalier, siete adunati Per aver del mio canto alcun diletto, Piacciavi di silenzio essermi grati; Chè dirvi cose nuove vi prometto, Prove d'armi ed affetti innamorati D'Orlando in seguitar Marte e Cupido, Onde n'è giunto al suol nostro il grido.
   Inverntzzi. Il Risorgimento. 45