CAPITOLO QUINTO. — LA NUOVA LETTERA! IRA, ECC.
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. . . . già portava, come Turpin dice, Una colonna intera tutta quanta Da Anglante a Brava; il suo libro lo dice (1).
In un altro luogo ei ride della bonarietà d'Orlando in osservare troppo strettamente le leggi della galanteria. Orlando accompagna Angelica dal Catai in Francia, e durante il viaggio la difende e la salva da multi pericoli, senza mai osare di toccarla. Ora,
Turpin, clie mai non mente, di ragione In cotal atto il chiama un babbione (2).
Il Settembrini ha notato un luogo del poema, dove l'ironia del Bojardo apparisce anche più fina che negli esempi surrecati. Alla fine del Cauto IV del libro I, il poeta dice:
E io vi narrerò nell'altro canto Il fin della battaglia dubitosa, Che, come io dissi, cominciò all'aurora, E durò tutto il giorno, e dura ancora.
« Le due ultime parole dura ancora, osserva il Settembrini, fanno sorridere chi legge, e rivelano che il poeta fino a quel punto non ha parlato sul seno (3) ». — In tal guisa il mondo dell' Orlando Innamorato, così serio nelle sue apparenze, è in sostanza un mondo fantastico pel poeta stesso, il quale nel rappresentarlo non sa talora tenersi dal comporre le sue labbra ad un ironico sorriso. Ma questo sorriso della coltura a spese della cavalleria non è, come nota il De Sanctis, il motivo, è un accessorio del racconto.
Il Bojardo non crede alle cose che nventa e racconta ; tuttavia vuol dar loro la forma ampia e severa dell'epopea classica. L'impresa non potea condurlo a felici risultati. L'arte non consiste già nella bizzarra combinazione d'imagini. Noi tutti crediamo che tali imagini debbono incarnare un mondo di sentimenti e di idee, acquistare un significato, ricevere una vita dallo spirito dell' artista. Non liavvi poesia profonda senza verità , massime poi per l'epopea. Il mondo eroico della Grecia era una realtà vivente nello spìrito d'Omero, non meno che in quello dello persone in mezzo alle quali il grandissimo poeta recitava o cantava i suoi poemi. In quel mondo ogni cosa è in intima e perfetta armonia. Omero, con quella potenza di combinazione e di creazione ancora insuperata , interpreta la tradizione , la compie idealizzandola, esprime in forme immortali ciò che i suoi ascoltatori sentono confusamente agitarsi dentro la fantasìa e non sanno esprimere; vede come loro vedono, parla il loro linguaggio, è istoriografo insieme e poeta, e lascia neìì'niadc e nell'Omtma la Bibbia del popolo ellenico. —Analoga in parte a quella d'Omero era la condizione di quei rapsodi e poeti francesi che nel Medio Evo raccolsero e ordinarono in poemi le Ballate popolari o Cantilene in cui si narravano in forma poetica le gesta di Carlo Magno e de' suoi Paladini. Anch'essi credevano nel soggetto dei loro canti, come vi credevano i cavalieri dei castelli e delle reggie feudali dove traevano a cantare i lor versi; anch'essi lasciavano nei loro poemi gli eroi ed i fatti della tradizione nazionale trasformati e idealizzati spontaneamente, secondo che portavano le loro inclinazioni e le facoltà del loro spirito.
Ma per il Bojardo il mondo cavalleresco, di cui una lontana e scolorita ima'
(1) Lib. II, C. V.
(2) Lib. II, C. 19.
(3) Lezioni di lett. ital. Voi. I, pag. 348.