CAPITOLO QUINTO. — LA NUOVA LETTERA! IRA, ECC. 331
Il dominio di Ercole I (ini neJ 1505, e in quest'anno medesimo morì lo Strozzi. — Morendo lasciava alcune poesie latine, in cui encomia i Duchi, celebra la sua famiglia, parla spesso di sè e dei casi della propria vita. Son versi in cui apparisce molta perizia nel maneggiare il latino, ma che certo non sono paragonabili nè per facilità nè per grazia a quelli del Poliziano e del Pontano.
Al par di Tito era in molta riputazione presso la Corte e godeva nel mondo letterario bella fama di verseggiatore latino, Ercole suo figlio, scolaro di Battista Guarino e di Aldo Manuzio. A'tempi di Ercole Strozzi la cultura classica, penetrata nello spirto e nelle abitudini.dei gentiluomini di Corte, aveva smesso il far serio e pesante di erudizione che aveva ai tempi di Guarino il vecchio, e s'era fatta più elegante ed amabile. I due Strozzi, mentre componevano elegie, epistole, egloghe ad imitazione ii Ovidio, di Orazio, di Tibullo e di Virgilio, piegavano anche il latino a servire alle galanterie della Corte (1). Era di recente venuta in Ferrara, sposa ad Alfonso I figlio di Ercole, Lucrezia Borgia splendida di bellezza e ricca d'ingegno e di coltura. La casa della principessa si aprì ben presto ad un geniale convegno di poeti e d'artisti. Tito ed Ercole Strozzi appartenenti alla più eletta nobiltà del Duca, furono famigliari di Lucrezia, suoi compagni nei piaceri della città e della villa. La Diva Lucrezia diventò la Musa ispiratrice dei loro versi, l'oggetto delle loro poetiche adorazioni e dei loro omaggi. — Tito Strozz non conosceva viso più bello nè ingegno più culto di quel di Lucrezia, e parlando di lei diceva:
Fallilur in te omnis terrae, coelique reposta est Gloria, nec Ubi quid conferai inveniet (2).
Da questa Venere nell'aspetto, da questa Pallade nei costumi, il poeta, benché vecchio, non sapeva difendersi:
Vivere certus eram sine amore; Lucretia captum Me tenet: haud mirum est; imperat illa Deis.
Una volta scherzando con Pietro Bembo, di cui era noto a tutti l'amore per la Duchessa, giuocava di parole sul nome di Lucrezia:
Si mutatur in X, C, tertia nominis hujus Intiera, lux /ìet, quod modo luc fuerat.
Retia subsequitur, cui tu haec subjunge, paratque Sic scribens, lux haec retia, Bembe, parat.
Ercole poi, più ricco d'ingegno del padre suo, d'indole più delicata e gentile, ricco, splendido, libertino, protettore di poeti e di dotti, prediletto dai cultori degli studi, era il favorito di Lucrezia. A lei dedicò moltissime sue poesie, levando a cielo Alessandro VI e Cesare Borgia (3) ; por lei ebbe lodi più che divine, e nel dirle il suo verso latino s'adornò di certa grazia non comune ai latinisti suoi contemporanei. Eccone alcuni esempi. Lucrezia teneva nelle sue sale una statua di Cupido
(1) Le poesie latine dei due Strozzi furono dopo la morte di questi raccolte da Guido e Lorenzo fratelli di Ercole, e pubblicate in Venezia da Aldo Manuzio nel 1513 col titolo: Strozzi poetae pater et filius. Aldo le dedicò a Lucrezia Borgia Duchessa di Ferrara. All'edizione v'e aggiunta l'orazione latina pronunciata da Celio Calcagnini ai funerali di Ercole Strozzi.
(2) T. V. Strozii. Epigrammata.
(3) V. specialmente: Epicedium Caesaris lìorgiae, e il genetliaco: Audit Io tandem, composto dallo Strozzi quando Lucrezia diè alla fine un erede ad Alfonso I.