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IL RISOiìGIMENTO.
La poesia dei secolo XV nasceva tra le feste e le pompe. Dalla giostra fiorentina erano nate le Stanze del Poliziano, da un'altra pompa solenne nacque la sua rappresentazione VOrfeo. Nel 1472, dicono alcuni, tra il 1476 e il 1478 affermano altri, il cardinal Francesco Gonzaga andò da Bologna, dov'era legato apostolico, a Mantova e fece con gran pompa j1 suo solenne ingresso in questa città, seco traendo gran comitiva di cortigiani. Il Poliziano, giovanissimo ancora (doveva avere diciotto o al più ventisei anni), non solo si trovò presente al solenne ingresso, ma a requisizione del Reverendissimo Cardinale Mantovano, in tempo di due giorni, intra continui tumulti, in istilo volgare perchè dagli spettatori fosse meglio intesa, compose la favola d'Orfeo (l), che fu splendidamente rappresentata alla presenza del Cardinale e de'suoi cortigiani. Baccio Ugolini, famigliare del Cardinale, sostenne la parie d'Orfeo.
Dell' Orfeo v'hanno due lezioni: quella conservata nel Codice Chigiano e ristampata ultimamente dal Carducci insieme alle altre poesie del Poliziano (2); e quella che il P. Ireneo Affò trasse da un Codice miscellaneo della Biblioteca (lei convento di Santo Spirito in Reggio, stampata per la prima volta in Venezia nel 1776 e riprodotta in seguito anche in altre edizioni. La prima di queste due lezioni segue nella sua forma drammatica l'andamento ordinario delle Rappresentazioni popolari del Quattrocento; non reca divisione alcuna di atti e di scene, e l'azione è a mezzo sospesa dall' intromessa di un ode saffica latina in lode del cardinal Gonzaga, cantata da Orfeo sulla lira. La seconda, invece, è divisa in cinque atti, come le tragedie classiche, preceduti da un Prologo in cui Mercurio espone l'argomento della tragedia, e non vi è l'ode latina cantata da Orfeo. Gli eruditi disputarono a lungo per sapere quale delle due lezioni fosse la vera (3): il Carducci risolse la quistione nel modo seguente: la lezione chigiana è veramente quella dettata in Mantova dal Poliziano in tempo di due giorni; quella del P. Affò è ancora la stessa rappresentazione, ma rivestita, variata, accresciuta dal suo autore forse per essere nuovamente rappresentata in qualche Corte d'Italia (4).
Nella Lezione chigiana dell' Orfeo, Mercurio, sostituito all'Angelo delle Rappresentazioni popolari, annunzia la festa. In appresso, il giovane pastore Aristeo racconta a Mopso d'aver visto una Ninfa più bella che Diana e d'essersene perdutamente .nnamorato. Mopso, che è vecchio, si studia di persuadere il suo giovane compagno ad estinguere l'amorosa face; ma è come se parlasse ai morti, chè Aristeo si tien cara la sua passione ed anzi invita Mopso a fargli tenore mentr' e canta una canzone intuonata sul ritornello:
Udite, selve, mie dolci parole. Poiché la bella Ninfa udir non vuole;
e che termina cosi:
Portate, venti, questi dolci versi Dentro all'orecchie della Ninfa mia, Dite quant' io per lei lacrime versi, E Lei pregate che crudel non sia: Dite che la mia vita fugge via, E si consuma come brina al Sole.
Udite, selve, ecc.
(1) Poliziano. Nella Lettera a Messer Carlo Canale che serve di Prefazione all'Orfeo.
(2) Ediz. cit.
(3) V. a questo proposito la prefazione e le illustrazioni fatte all'Orfeo del P. Affò, e il discorso del Carducci più volte citato.
(4) Loc. cit.