25Ò IL RISORGIMENTO.
esterni, non fatta dall'arte mobile e leggiera, non idealizzata.... Vedi l'uomo in villa che tutto osserva, e anima con 1 immaginazione la natura senza averne il sentimento. Ci è l'osservatore, manca l'artista (1). » — Tuttavia i suo» contemporanei lo lodarono a cielo, lo pareggiarono a Dante ed al Petrarca, e spinsero le lodi fino a farne un poeta superiore a questi due grandi (AH Ma 1 vero si è che le lodi date al poeta si frammischiavano ai sentimenti di gratitudine per lo splendido mecenate o alle adulazioni prodigate al Principe; e che Lorenzo non seppe sollevare le tendenze classiche ed idilliche del suo tempo a quella squisita idealità cui le sollevò Angelo Poliziano. Sotto le apparenze del platonico idealista c'era in lu: il borghese fiorentino del secolo XV, sensuale, vivace, motteggiatore, indifferente alla religione ed alla morale, e queste qualità del suo carattere lo facevano pn, adattato ad esprimere un altro aspetto della vita interiore del suo tempo, e vogliam di~e quelle tendenze al comico, all'ironico, al sensuale che in Firenze s'eran manifestate col Boccaccio, e che in ciò ch'elle avevano di più essenziale erano decise negazioni dell'ascetismo e del misticismo del Medio Evo. — Nella Mencia da Barberino, nei Beoni e nei Canti carnascialeschi, Lorenzo il Magnifico realizza quest'altre tendenze in modo diverso e con diverse gradazioni.
La Nencia è, nel suo genere, un capolavoro. Lorenzo in una serie ai stanze, rappresenta gli amori di due contadini, Nencia e Vallera, coi sentimenti, colle idee, colle imagini, colla lingua del contado toscano. Egli nel contado ci vive, e con la mente sgombra di platonismo e di classicismo, tutto osserva, tutto nota, gli atti, i gesti, le parole, e tutto ritrae coi colori della realtà che gli sta d'innanzi agli occhi. Ma in ciò fare senti il borghese fiorentino che ride a fior di labbra e vuol far ridere gli altri della semplicità del povero Vallera sventurato e dei dispet-tuzzi, delle repulse, delle civetterie tutte contadinesche di Nencia, spargendo quindi la sua poesia d'una festività comica che ne rende sommamente dilettevole la lettura. — Nella Nencia da Barberino il comico ha per materia i costumi del contado toscano, nel Simposio o Beoni quelli del popolo fiorentino. Anche qui l'ingegno poetico di Lorenzo è nel suo vero campo. Il Simposio è una satira contro gii ubbriacòni di Firenze, fatta in terza rima, parodiando il disegno, le imagini, le frasi dell'Inferno di Dante e dei Trionfi del Petrarca. Un giorno d'autunno, proprio nel momento della vendemmia, Lorenzo, tornando dalla campagna verso Firenze per la via che entra alla porta Faenza, trova le strade calcate di gente che movono frettolose n una sola direzione. Incontratosi in un della brigata, ch'è suo amico, lo ferma, e cìrestagli la ragione di tanta folla e di tanta fretta, sa che è la voglia del vino che porta tutti costoro verso il Ponte a Hifi edi, dove Giannesse ne ha spillato un botticello di fresco. Prega allora l'amico a trattenersi alcun poco con lui per dargli contezza di tuta questi bevitori. Così com.ncia una rassegna di ubbriacòni che dura per nove capitoli. Ti passano innanzi persone d'ogni condizione, e non vi mancano i sacerdoti. Son uomini coi nasi spugnosi e pavonazzi, cogli occhi sfavillanti o mezzo chiusi, colle gote rosse e ìe labbra asciutte, che non si reggono ben saldi in piedi, e barcollano e camminano a onde, balenando a spinapesce. Bartolino, che è il nome dell'amico incontrato dapprima, poi Ser Anastagio fanno 1' ufficio che fa V;rgiho nell'Inferno, lo Duca. Essi interrogano i passanti e informano Lorenzo della condizione, delle abitudini, del carattere di costoro. Ecco un esempio. BartoLno dice a Lorenzo, additandogli un beone :
(1) Storio, della letteratura italiana. Voi. 1, pag. 378.
(2) Al Petrarca, diceva Pico della Mirandola in una lettera diretta a Lorenzo dei Medici che comincia: « Legi, Lavrenti Medice, Rytmos tuoi, » mancano le cose, ooe i concetti, e a Dante le parole, cioè l'eloquenza, dove in te, Lorenzo, non si desiderano nò le une cose nè le altre. — V. lettere di Pico, Venezia, Isiccolo Zoppino 1529. — Benedetto Varchi nell ' Et colano dopo aver riferito questo strano giudizio del Mirandolano, soggiunge: « le quali cose egli (Pico) mai affermate così precisamente non avrebbe, se i giudizi di quel secolo fossero stati sani e gli orecchi non corrotti. »