CAI'ITOLO QUARTO. — RINNOVAMENTO DELLA LINGUA, ECC. S-81
della superiorità della propria coltura, e si alimentava la speranza di potere, in un avvenire non lontano, riprendere il dominio del mondo. Il Medio Evo, guardato nelle sue istituzioni e nella sua coltura, pareva una violenta e barbara deviazione dall'antico incivilimento latino, incivilimento che gli italiani del secolo XV erano chiamati a continuare colla restaurazione ch'essi andavano facendo della classica antichità. D'altronde, non continuavano i greci la loro cultura nella medesima antica lìngua di Omero e di Platone?
Se non che, tanto l'uso esclusivo del latino, quanto il pregiudizio che colpiva il volgare d'incapacità ad esprimere tutti i concetti della mente, accompagnato dal disprezzante obblio per gli scrittori del Trecento incontravano opposizione nelle teorie e nei fatti, e ciò specialmente in Firenze. Scritta in volgare c'era in Firenze una letteratura popolare ricchissima (1); destinate al popolo erano le belle Laudi spirituali e le Sacre Rappresentazioni di Feo Belcari (m. 1484; ; al popolo erano carissimi i Sonetti in cui Domenico Burchiello (m. 1448) satireggiava uomini e cose del suo tempo. In Firenze la borghesia aveva bensì studiato ed ammirato i classici, ma non aveva perciò mai cessato di scrivere il suo volgare e tanto meno d'ammirare i suoi grandi scrittori del Trecento. La letteratura volgare, osserva il De Sanctis, era in Firenze così intimamente legata alla vita pubblica e privata che non era cosa molto facile il guastarla e 1 sopraffarla. Le opinioni ed i pregiudizi contro il volgare non potevano quindi, metter profonde radici nemmeno nella mente dei dotti latinisti fiorentini. Fin sul principio del secolo Cino Rinuccini aveva composto un'invettiva contro i calunniatori di Dante, dei Petrarca e del Boccaccio (2); e più tardi Leonardo Bruni aveva scr.tto in volgare le vite di Dante e del Petrarca, non che sostenuto, in una lettera da noi altrove riferita (3), che il volgare non era altro che lo stesso latino parlato dal popolo di Roma antica. Noi sappiamo che, proprio nel momento in cui l'entusiasmo pei greci e pei latini era al sommo, Francesco Filelfo, nei giorni festr'i commentava Dante in Santa Maria del Fiore; sappiamo che questo stesso erudito scrisse commenti ai trionfi del Petrarca, e che in un'orazione recitata il 21 dicembre 1450 difese l'Alighieri, chiamato da'suoi « ignorantissim emoli poeta da calzolai e da fornai.» Nel 1460, in quello Studio fiorentino dove si erano studiati e si studiavano tuttavia con indicibile ardore i classici greci e latini, Cristoforo Landino naugurava un corso di commenti e d'interpretazioni al Canzoniere del Petrarca, pronunziando un'orazione italiana in cui esortava i proprii concittadini allo stud'o del volgare e delle opere di Dante, del Petrarca e del Boccaccio. Il dotto latinista cominciava la sua orazione così : « Saranno per avventura alcuni prestantissimi cittadini, i quali persuaderanno, o di già sino ad ora l'hanno persuaso, questa mia impresa di volere in sì celeberrimo Ginnasio e nobilitato Studio, in tanto numero, dove molti dotti bi trovano, leggere il poema di Francesco Petrarcha, essere più presto di riprensione che di laude degna; stimandosi forse che questo medesmo tempo più utilmente nell'iuvestigazione o dalle latine o dalle greche lettere spender si potesse; tirati, credo, aitale opinione perchè dubitano la lingua toscana non essere nè così abbondante, nè si ornata, con la quale l'altre e degne cose e buone, che nell'altre buone anzi s convengono, e le sentenze di molti acutissimi e quasi divini ingegni espr ner si possono. » Dimostrava poi come il volgare così ne'suo. principii e negli incrementi come nei pregi non differisce dalla lingua latina; che bisogna però sottoporlo a regole di grammatica e di rettorica come della latina fu fatto, e con lo stud ) di questa al nentarlo e rafforzarlo continuamente. — diceva qual glorie future se ne avessero con ciò ad aspet-
(1) In volgare scrivevasi a dir vero, anche nelle altre città d'Italia. Il T'raboschi, in line al voi. VI della sua Storia della letteratura italiana, dà un Indice Cronologico dello città c dei luoghi d'Italia in cui nel secolo XV s'introdusse la stampa, e in quest'Indice vedesi che tra i primi libri stampati ce ne sono di volgari.
(2) Mehus, VUa Àmbros. Camaldolensis, pag. CLA'XVI, Florentia 1759.
(3) Gap. II, § 2, pag. 84.
Invernizzi. Il Risorgimento. 32