CAI'ITOLO QUARTO. — RINNOVAMENTO DELLA LINGUA, ECC.
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§ 3.
LA LETTERATURA DEI CONTEMPORANEI DI LORENZO DEI MEDICI.
Quando Lorenzo il Magnifico, nel fiore degli anni e dell'ingegno, si trovò a capo del movimento politico italiano, la rivoluzione intellettuale, iniziatasi fra noi fin dai tempi di Giovanni Boccaccio, era in pieno sviluppo. Il suo nuovo ideale aveva già trovato una propria espressione nella Letteratura del quattrocento. L'aveva nelle speculazioni dell'Accademia platonica, nell'erudizione di Pomponio Leto e de' suoi compagni , nei versi latini del Pontano e del Poliziano. Era la coltura dell'antichità sostituita a quella del Medio Evo; era un mondo intellettuale e materiale, indeterminato, ma vastissimo e libero, posto in luogo di quello limitato dalla teologia è sottoposto all'autorità; era un sentimento epicureo della vita reale, una quiete idillica che aveva disperso le illusioni del misticismo e cessate le inquietudini ascetiche; era un sorriso indifferente sparso sulle astrattezze e sulle aspirazioni dello spiritualismo medioevale; era la perfezion della forma, ammirata nei classici e posta come scopo supremo degli sforzi dell'arte; era, infine, una vita interiore indifferente alla religione, alla morale e alla politica, che amava la coltura per la coltura e l'arte per l'arte. Il latino, di'era la lingua di questa letteratura, risentiva l'influenza di questi cangiamenti interiori. Di ruvido ed aspro ch'esso era nella scolastica, dopo un lungo studio dei classici, appariva elegante e vezzoso nel Poliziano e nel Pontano, indizio della serenità di mente, della quiete epicurea ed idillica non che del sentimento della bellezza che governava la vita interiore.
Accanto a questa letteratura latina, c'era quella volgare e popolare di cui ab-biam parlato nel § antecedente, e c'erano rime e prose parimenti in volgare, scritte da dotti uomini di diverse città italiane. C'erano, per citare alcune delle rime, dei sonetti di Buonaccorso da Montemagno (1), c' era il canzoniere di Giusto de' Conti, un oratore e giureconsulto romano morto in Rimini alla corte di Sigismondo Ma-latesta (1449'?) che aveva celebrato in rima i suoi amori con una fanciulla romana e dato alla sua raccolta il titolo di Bella Mano, forse perch'egli più che gli occhi e le treccie, come avevano fatto e facevano i petrarchisti, loda ne' suoi versi la mano della sua donna. In volgare aveva pure poetato Antonio Tibaldeo, medico ferrarese (1456 circa), e quel Serafino d'Aquila che accompagnava i suoi versi improvvisi col suono del liuto, e saliva in tanta fama da essere incoronato poeta. Tutti questi versificatori, però, ed altri molti che non importa nominare, si erano trascinati senza ispirazione e senza sentimento sull'orme del Petrarca, rimaneggiando a lor modo il Canzoniere. Nelle loro rime null'altro quindi si trovava che qualche ingegnoso meccanismo di parole, o qualche facilità nell'artifizio tecnico del verso, e tutto ciò in un v) gare che se in alcuni pochi serbava ancora traccia della spontaneità e freschezza del trecento, nella maggior parte sentiva gli effetti dell'uso invalso presso i dotti , non scrivere in altra lingua che nella latina, quelle cose dalle quali si ripromettevano fama e ricchezze. Non contenti di latinizzare barbaramente il volgare, alcuni avevano anche tentato di applicare la metrica latina alla versificazione italiana. Ecco un esempio di simile stranezza. Nel 1441, Leon Battista Alberti propose un certame coronario da celebrarsi in Firenze nel tempio di S. Maria del Fiore. L argomento proposto era sulla vera amicizia. Il giorno 22 ottobre dello stesso anno 1441 il certame si fece, e fra i dicitori vi fu Leonardo Dati fiorentino, il qual lesse una sua scena in versi esametri e saffici, ov'è introdotto Mercurio a dire, fra l'altre cose, le seguenti:
(1) V. Prose e Rime dei due Buonaccorsi da Montemagno, il vecchio e il giovine , pubblicate dell'abate C. Casati, Firenze 1317.