capitolo quattordicesimo.
Il poeta vide
. . . . più fulgor vivi e lucenti Far di noi centro, e di sè far corona, Più dolci in voce che in visi a lucenti.
Uno di questi spiriti comincia a parlare, ed è s. Tommaso d'Aquino:
Io fui degli agni della santa greggia Che Domenico mena per cammino, U' ben s'impingua, se non si vaneggia.
Questi, che m'è a destra più vicino, Frate e maestro fummi; ed esso Alberto È di Cologna ; ed io Thomas d'Aquino.
Se sì di tutti gli altri esser vuoi certo, Diretro al mio parlar ten vien col viso Girando su per lo beato serto:
Quell'altro fiammeggiare esce del riso Di Grazian, che l'uno e l'altro foro Aiutò sì che piace in Paradiso.
L'altro ch'appresso adorna il nostro coro, Quel Pietro fu, che con la poverella, Offerse a santa Chiesa il suo tesoro.
La quinta luce, ch'è tra noi più bella, Spira di tale amor, che tutto il mondo Laggiù ne gola di saper novella.
Entro v'è l'alta mente, u' si profondo Saper fu messo, che, se il vero è vero, A veder tanto non surse il secondo.
Appresso vidi il lume di quel cero Che, giuso in carne, più addentro vide L'angelica natura e il ministero.
Nell'altra piccioletta luce ride Quell'avvocato de' templi cristiani, Del cui latino Agostin si provvide.
Or, se tu l'occhio della mente trani Di luce in luce, dietro alle mie lode, Già dell'ottava con sete rimani.
Per vedere ogni ben dentro vi gode L'anima santa, che il mondo fallace Fa manifesto a chi di lei ben ode.
Lo corpo ond'ella fu cacciata giace Giuso in Cieldauro, ed essa da martiro E da esilio venne a questa pace.
Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro D'Isidoro, di Beda, e di Riccardo Che a considerar fu più che viro.
Questi, onde a me ritorna il tuo riguardo, È il lume d'uno spirto, che in pensieri Gravi, a morire gli parve esser tardo.
Essa è la luce eterna di Sigieri.
San Tommaso (Canto undecimo) legge due dubbi sorti nella mente di Dante
Tu dubbii, ed hai voler che si ricerna In sì aperta e sì distesa lingua Lo dicer mio, ch'ai tuo sentir si sterna,