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Storia Letteraria d'Italia
I primi due secoli
Adolfo Bartoli
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 552

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   t,a divina commedia. 401
   La chioma sua, che tanto si dilata Più, quanto più è su, fora dagl'Indi Nei boschi lor per altezza ammirata.
   Beato se', Grifon, che non discindi Col becco d'esto legno dolce al gusto, Posciachè mal si torse il ventre quindi.
   Così d'intorno all'arbore robusto Gridaron gli altri; e l'animai binato: Sì si conserva il seme d'ogni giusto.
   E volto al tèmo ch'egli avea tirato, Trasselo a piè della vedova frasca; E quel di lei a lei lasciò legato.
   Come le nostre piante, quando casca Giù la gran luce mischiata con quella Che raggia dietro alla celeste Lasca,
   Turgide fansi, e poi si rinnovella Di suo color ciascuna, pria che il sole Giunga li suoi corsier sott'altra stella;
   Men che di rose, e più che di viole Colore aprendo, s'innovò la pianta Che prima avea le ramora sì sole.
   Io non lo intesi, nè quaggiù si canta L'inno che quella gente allor cantaro, Nè la nota soffersi tuttaquanta.
   Dante si addormenta. Risvegliatosi, domanda :
   .......Ov'è Beatrice?
   E Matelda gli risponde :
   ......Vedi lei sotto la fronda
   Nuova sedersi in su la sua radice.
   Vedi la compagnia che la circonda: Gli altri dopo il Grifon sen vanno suso, Con più dolce canzone e più profonda.
   Beatrice dice a Dante di guardare al carro, per poter poi narrare al mondo le cose viste.
   . . . . ed io che tutto a' piedi De' suoi comandamenti era devoto La mente e gli occhi, ov'ella volle, diedi.
   Non scese mai con si veloce moto Fuoco di spessa nube, quando piove, Da quel confine che più è remoto,
   Com'io vidi calar l'uccel di Giove Per l'arbor giù, rompendo della scorza, Non che de' fiori e delle foglie nuove ;
   E ferì il carro di tutta sua forza, Ond'ei piegò, come nave in fortuna, Vinta dall'onda, or da poggia or da orza.
   Poscia vidi avventarsi nella cuna Del trionfai veicolo una volpe, Che d'ogni pasto buon parea digiuna.
   Ma, riprendendo lei di laide colpe, La donna mia la volse in tanta futa, Quanto sofferson l'ossa senza polpe.
   Bartoli. Letteratura italiana. 51